Due figlie e altri animali feroci: raccontare un’adozione
Scegliere, desiderare: quali parole migliori per esprimere il significato di un’adozione? ‘Scegliere’ e ‘desiderare’ sono, insieme, il concetto all’origine etimologica del verbo ‘adottare’, dal latino ad e optare. Un po’ come il matrimonio, quello dell’adozione è un istituto giuridico che, nel corso della storia, ha visto spesso i motivi economici o sociali prevalere sull’affetto; e figl so’ piezz ‘e core, ma anche uno strumento per mantenere il patrimonio, o il potere, all’interno di una famiglia: un caso celebre, dal punto di vista dinastico, è l’adozione di Adriano da parte dell’imperatore Traiano nel II secolo d.C. E se anche in Oriente vi si è fatto ricorso, nei secoli, in Europa l’influenza delle cosiddette Invasioni barbariche ha concentrato l’attenzione sulla purezza del lignaggio, che per principio esclude qualsiasi “aggiunta” esterna – sarebbe stato troppo facile per Enrico VIII trovare un erede, altrimenti! Per questo motivo, l’adozione è stata a lungo malvista a livello culturale e legislativo: se i più sfortunati, quando possibile, vengono affidati ai parenti, i trovatelli abbandonati nelle ruote cittadine e davanti ai luoghi di culto sono destinati a vivere ai margini della società. Una prima istituzionalizzazione del fenomeno si osserva, nel Medio Evo, con la presa a carico degli orfani da parte della Chiesa, ma la svolta che si avvicina al concetto di adozione più familiare per noi si ha nell’Ottocento, quando, in parole povere, questi bambini smettono di essere visti come servi o futuri apprendisti di qualche mestiere. Dopo il Secolo dei Lumi, infatti, la figura del bambino inizia a discostarsi dal modello tradizionale che lo considera come un piccolo adulto e, di conseguenza, la parola ‘adozione’ acquisisce via via un valore differente: quello di un grande, disinteressato atto d’amore.
In Due figlie e altri animali feroci di amore ce n’è davvero tanto, e si riflette in più di una sfaccettatura. L’opera di Leo Ortolani, autore di Rat-Man (e tanto altro), è un esempio perfetto per raccontare, in prima persona, cosa significhi, ai giorni nostri, ‘desiderare’ e poi ‘scegliere’ di prendersi cura e, al contempo, legarsi a un figlio che non ci è appartenuto fin dall’inizio.
Ma andiamo con ordine.
Due
La storia di Leo e Cate (Caterina Dacci, sua moglie) comincia con una diagnosi di infertilità, come tanti altri; una circostanza che mette subito alla prova la coppia e gli individui che la compongono. Vale la pena sottoporsi a un’infinità di trattamenti medici fisicamente provanti? La decisione dei due è quella di cambiare strada e raggiungere la meta in un altro modo.
«Ora, chiunque abbia adottato sa bene che non esiste un percorso uguale all’altro». Con queste parole Leo svela una prima, importante verità: ogni adozione è un’esperienza a sé stante, a partire dal tipo di adozione, se nazionale o internazionale. Per la prima, l’iter che verifica l’adeguatezza della coppia è un’autentica babele, anche dal lato psicologico; Leo e Cate, quindi, decidono di provare a guardare oltreconfine, con l’aiuto di specifici enti che gestiscono le pratiche tra Stati (e continenti) diversi. La seconda opzione non è meno complicata della precedente, e più volte la strada dei due sembra fermarsi, come un sentiero nascosto in una giungla fittissima. È qui che si potrebbero incontrare gli animali feroci che Ortolani cita nel titolo: non tanto nei bambini, quanto negli adulti e nelle lungaggini burocratiche snervanti, spesso superflue o, addirittura, incomprensibili agli adulti stessi.
Ma i nostri eroi ce la fanno. Nonostante passino dieci anni, tra carte, accertamenti e ostacoli inaspettati, Leo e Cate resistono e ce la fanno insieme, perché è il loro amore che costituisce il punto di partenza e il motore per sostenere questa scelta.
Due più due
Non un possibile figlio adottivo, ma ben due aspettano Leo e Cate in Colombia: le sorelline Johanna e Lucy Maria, di quattro e tre anni circa. Non ci è dato sapere granché della loro vita prima dell’arrivo dei genitori dall’altra parte del mondo; quello che si manifesta immediatamente, però, è il loro legame fraterno, così saldo da avvicinarsi alla simbiosi: se Lucy sta male, Johanna si prende cura di lei (e viceversa) e quello che la grande fa, la piccola ripete. Leo e Cate si domandano spesso cosa frulli nelle loro testoline spettinate, quali saranno le conseguenze dei primi anni di vita e se arriverà mai il momento in cui le piccole li considereranno come loro genitori a tutti gli effetti.
Le settimane che precedono la formalizzazione delle pratiche stanno a metà tra un periodo di prova e le scosse di assestamento dopo un terremoto. Più che un’addizione, la nuova famiglia sembra più un “due contro due”: i capricci sono all’ordine del giorno, e non è facile per Leo e Cate abituarsi al lato oscuro della genitorialità. Ci vuole tempo per comprendere la diffidenza delle bambine, che, essendo così piccole non possono certo esprimere paure ed emozioni in maniera articolata – spesso nemmeno gli adulti ne sono capaci. Anche per questo, Leo Ortolani decide di documentare il viaggio in Colombia attraverso le mail inoltrate ad amici e parenti. A ricostruire la parte più emotiva ci pensano le vignette realizzate per la prima edizione del libro (Sperling & Kupfer, 2011), a cui se ne aggiungono altre nella riedizione della Bao Publishing (2019). In questa storia, “due più due” riesce a fare quattro grazie ad altri due elementi, ovvero l’ironia e l’amore, entrambi incondizionati e presi a dosi massicce per curare le insicurezze, affrontare gli imprevisti e accettare un papà che quando parla spagnolo sembra veneto, o una figlia con la grazia di un camionista col pannolino; accettare, insomma, che quella fonte di amore, grande o piccola che sia, talvolta sbaglierà, alzando la voce o pestando i piedi. Eppure, riuscirà ad essere perfetta così.
Un titolo promettente come Due figlie e altri animali feroci anticipa una riflessione insolita su un argomento molto caro all’opinione pubblica italiana, che sia per la complessità della burocrazia o l’inadeguatezza delle leggi rispetto alle dinamiche della società odierna. Ma è anche il racconto onesto di un’avventura e di tante storie d’amore che, in un certo senso, confluiscono tutte in una sola – e forse è il caso di dire che, qui, due più due non fa quattro, bensì uno.
di Joanna Dema
[…] Credo di aver esterrefatto qualche vecchietta che ha osato sbirciare lo schermo del mio computer, mentre scrivevo l’anno scorso in totale tranquillità, seduta a un tavolino in riva al lago, la recensione di un libro sulla moralità del cannibalismo e delle sue implicazioni oggi. Ebbene, oggi torno con una doppietta letale, non più sull’antropofagia, bensì sul sentirsi “alieni” rispetto alla società e all’impossibilità di inserirvisi (e anche qui, niente di nuovo sul fronte occidentale dei miei articoli). […]