Il cammino e la corsa come pratica erotica della solitudine
«Nella società d’oggi […] la meccanizzazione vale pure a “risparmiare” libido, l’energia degli istinti vitali, cioè vale a impedire che essa sia consumata nei modi prima disponibili. È questo il nocciolo di verità contenuto nel contrasto romantico tra il viaggiatore moderno e Il poeta o l’artigiano ambulante, tra linea di montaggio ed artigianato, cittadina e metropoli, pane fatto a macchina e pane fatto in casa, barca a vela e fuoribordo, ecc. È vero, questo romantico mondo pretecnico era intriso di miseria, fatica e sudiciume, che a loro volta costituivano lo sfondo di ogni gioia e piacere. Tuttavia esisteva un «orizzonte», un medium di esperienza libidica che oggi non esiste più.
Con la sua scomparsa (che di per sé è un requisito storico del progresso1), tutta una dimensione di attività e passività umana è stata deerotizzata. L’ambiente da cui l’individuo poteva ricavare piacere, che egli poteva fare oggetto di investimento affettivo poco meno gratificante che se si fosse trattato di una zona estesa del corpo, è stato drasticamente ristretto. Di conseguenza l’«universo» dell’investimento libidico è stato parimenti ristretto. Il risultato è una localizzazione e contrazione della libido, la riduzione della sfera erotica all’esperienza e alla soddisfazione sessuali».2
Dopo quasi sessant’anni le parole di Marcuse ci suonano lontane nel senso oltre che nel tempo. Difficile che qualcuno di noi pensi al movimento in termini di piacere. È una fatica che si deve compiere per raggiungere un luogo oppure per rimanere in salute. Il sistema delle infrastrutture ha alleviato molte di queste fatiche da itinerante e le scienze hanno ordinato la pratica sportiva secondo criteri razionali: sono nate figure professionali come i nutrizionisti dello sport e i personal trainers e si è sviluppata anche la medicina dello sport. Il dominio razionale, direbbe Marcuse, è stato ancora una volta applicato alla natura e all’uomo, organizzando i suoi movimenti secondo i criteri dell’efficienza e della produttività.
Chi non ha mai sperimentato noia e fastidio per il ritardo di qualsiasi mezzo pubblico? Chi non ha mai desistito ad incominciare a praticare attività fisica perché si è sentito non sufficientemente preparato e competente? Si possono attribuire questi comportamenti rispettivamente ed esclusivamente all’impazienza e alla pigrizia, o ci sono ragioni più profonde? Perché non siamo più capaci di serendipità? Il nostro corpo è una gabbia – individuale – che si muove in un’altra gabbia – sociale?
Il movimento come evasione ed immaginazione
Ci sono altre prospettive di concepire le possibilità del movimento, del cammino, della corsa, oltre a quelle contemplate nella teleologia dell’utile e dell’efficiente? Quali sono queste possibilità? Per indagare, esploreremo qualche verso di un poeta russo, Evgenij Evtušenko, che ha vissuto in una società, quella dell’URSS – che invero aveva lo stesso orientamento del liberismo dell’Europa dell’ovest e degli Stati Uniti per ciò che concerne la razionalizzazione del lavoro e della società, pur ottenuta con mezzi diversi: l’oppressione dittatoriale alla luce del sole, invece dell’obbligo a lavorare a determinate condizioni mascherato da libertà, e la gestione delle risorse e dei mezzi di produzione affidata allo Stato piuttosto che a chi poteva permettersela, i singoli capitali – che ha «svuotato di volontà il suo talento», in cui insomma il peso deformante delle sovrastrutture seguite all’adozione di un sistema produttivo come quello comunista ha programmaticamente limitato l’orizzonte delle libertà e delle attività da cui trarre piacere e anestetizzato la capacità di protesta dei cittadini.
In stracarichi tranvai Accalcandoci insieme, Dimenandoci insieme, Insieme barcolliamo. Uguali ci rende una uguale stanchezza. Di quando in quando c’inghiotte, Il metrò, Poi dalla bocca fumosa ci risputa, il metrò. Per incerte strade, tra vortici bianchi Camminiamo, uomini accanto a uomini I nostri fiati si mescolano fra loro, Si scambiano e si confondono le orme. Dalle tasche tiriamo fuori il tabacco, Mugoliamo qualche canzonetta di moda Urtandoci coi gomiti, Diciamo scusa - o non diciamo niente. La neve sbatte contro le facce tranquille Avare, sorde parole ci scambiamo. E proprio noi, tutti noi, ecco qui, Tutti insieme, siamo Quello che all’estero chiamano Mosca! Noi che qui ce ne andiamo con le nostre borse Sottobraccio, coi nostri pacchetti e fagottelli, Siamo coloro che nei cieli scagliano astronavi E sbigottiscono i cuori ed i cervelli. Ognuno per conto suo, attraverso Le nostre Sadowye, lebjazie, Trubnye Secondo un proprio itinerario Senza conoscerci l’un l’altro Noi, sfiorandoci l’un l’altro, Andiamo… 3
Chi non ha mai sperimentato quella sensazione di alienazione sui mezzi pubblici che consiste nell’impossibilità di contatto con l’Altro – e in effetti una tra le più grandi nostre preoccupazioni del momento è l’evitare assolutamente qualsiasi contatto con l’Altro – e al contempo l’essere costretti dalle circostanze del movimento ad avere questo contatto in forma superficiale e fastidiosa? Non c’è nessuna possibilità erotica, cioè di conoscere e introiettare l’Altro facendosi toccare, non importa che esso sia un uomo, una donna o il paesaggio che si sta attraversando e osservando. L’efficientamento dei trasporti ha ridotto i tempi di tragitto al costo della de-erotizzazione del viaggio. Le tabelle degli orari, le linee fisse, la voce metallica che scandisce le stazioni ha privato il viaggio della sua componente di mistero, sostituita dalla certezza della meta e dei tempi di percorrenza.
[...] A una stazione, anch’io discesi. Camminavo, senza meta [...] Dal marciapiede balzai direttamente su un sentiero di campagna. [...] Passò un deviatore, battendo sui binari, dondolava il fanale che egli reggeva in una mano. [...] Io mi ero fermato. Immobile ascoltavo le locomotive come se stessi parlando al mondo intero. E il mondo, sulle sue spalle prendendo la mia tristezza, a me partecipava la sua allegria [...] Il mondo mi guardava con uno sguardo aperto. 4
Non appena il poeta si allontana dalla società, rappresentata fisicamente dalla città, ecco che l’effetto di straniamento va scemando ed egli è capace di una prospettiva diversa. Le locomotive, che prima sputavano dalla loro bocca fumosa gli uomini, ora parlano, come Muse, e sono capaci, coi loro rumori ritmati, di iniziare ad una fusione panica l’uomo e il Mondo. E il Mondo, contrariamente alla Società, non guarda con uno sguardo prescrittivo: il poeta può essere chiunque, non c’è nessun fine con cui la sua esistenza è etichettata. Tutto ciò è stato ottenuto con il cammino, perché il movimento sposta sempre anche la mente dell’uomo e il Mondo che porta dentro di lui. La storia dell’uomo è cominciata con una migrazione dalla Rift Valley etiope ed è proseguita fino ai giorni nostri con marce per l’ampliamento dei diritti civili. Il cammino dell’uomo è sempre più del cammino di un singolo corpo, ha un significato trascendente per la sua capacità di cambiare il singolo come la collettività.
Non mi sono trovato bene col mio nuovo lavoro. Mi sono consolato dando la colpa ad altri. [...] Ma il corso delle mie riflessioni mi portò fuo- ri di casa [...] Non basta una posa per alleviare il dolore. Il mio cuscino fu per molto tempo ora basso, ora alto. E poi, scrollato via tutto il superfluo, ripresi a meditare sul passato. D’improvviso dentro di me si mosse un vento, antico di chiarezza e di neve: [...] Queste cose andavo ricordando nel mio silenzio, udivo un vento di conifere, finché a un tratto, non so come, tutto in me divenne spazio, quiete. Ma sì, che inutile l’angoscia! come non necessaria l’inquietudine! Il male - non era poi così grave: ero riuscito - sì e no. E se vivere mi sarà di nuovo difficile, saprò sopportare il fardello. 5 [...]
Scriveva Paul Valery che «il pensiero è il lavoro che fa vivere in noi ciò che non esiste»6. Quando si cammina, cammina anche il pensiero. Il porto che non esiste, può essere la consolazione, nel ricordo e nell’immaginazione. Ma ogni luogo fisico e stato mentale a cui si giunge è sempre anche qualcosa di nuovo. La fuga dalla realtà è un cammino che porta ad una realtà diversa e ci rende consapevoli della possibilità di realtà alternative. Al contempo la necessità di muoverci ci porta ad interrogarci sullo stato delle cose, alla critica dello status quo. Nel contesto del movimento sin qui delineato l’arte e la letteratura si configurano sempre come un cammino di trascendenza consapevole dell’esistenza alienata7, un’alienazione dall’alienazione. La loro verità sta nell’illusione evocata, nel loro insistere a creare un mondo in cui il terrore della vita è richiamato e sospeso, dominato da un atto di ricognizione8.
Ogni volta che camminiamo nel Mondo, facciamo un atto di ricognizione, di ciò che ci siamo lasciati alle spalle e di ciò che incontriamo.
Il movimento come tecnologia del sé
Dice il filosofo Michel Foucault: «le tecnologie del sé […] permettono agli individui di eseguire, coi propri mezzi o con l’aiuto degli altri, un certo numero di operazioni sul proprio corpo e sulla propria anima – dai pensieri, al comportamento, al modo di essere – e di realizzare in tal modo una trasformazione di se stessi allo scopo di raggiungere uno stato caratterizzato da felicità purezza, saggezza, perfezione o immortalità»9.
E ancora: Nei testi greci e romani il precetto di conoscere se stessi è sempre associato alla cura di sé. Con la cura di se stessi si giunge alla conoscenza di sé. La prima viene prima della seconda. Si è avuta un’inversione nel rapporto gerarchico tra i due principi dell’antichità. […] Nel mondo moderno è la conoscenza di sé a costituire invece il principio fondamentale. […] Il conosci te stesso ha oscurato il prenditi cura di te stesso perché la nostra morale, che è una morale ascetica (di derivazione cristiana) insiste sul fatto che il sé è ciò di cui ci si può liberare10.
C’è chi, pur non avendo mai letto Foucault, ha adottato il movimento come cura di sé e base conoscitiva. È il caso dello scrittore giapponese Murakami Haruki:
Io stesso per molto tempo non ho compreso cosa significasse per me correre ogni giorno. Sì, mantenersi in forma, perdere i chili di troppo e tonificare i muscoli, questo era chiaro. Ma c’era dell’altro. Qualcosa di molto più importante.11
Murakami porta l’esempio di Kafka che si prendeva una cura estrema del proprio corpo. Era vegetariano, l’estate nuotava ogni giorno un miglio nella Moldava, e pare facesse lunghe sedute quotidiane di ginnastica.12
Murakami ci dice che per trasformare in soggettività, in espressione di sé, il caos, l’enorme confusione che aleggia dentro ognuno di noi, ciò di cui abbiamo bisogno è una tenace capacità di concentrazione e una perseveranza incrollabile. […] E una resistenza fisica che vi permetta di mantenere queste qualità ad un livello costante.13
Per conservare a lungo questa volontà salda, occorre preservare la qualità stessa della vita […] avanzare un passo alla volta rafforzando in una certa misura il nostro corpo, che fa da cornice al nostro spirito.14
Inoltre, da studi recenti sul cervello umano, sappiamo che il numero di neuroni che nascono nell’ippocampo aumenta notevolmente in proporzione al movimento all’aria aperta che si fa. […] I nuovi neuroni appena nati, se li si lascia riposare, dopo ventotto ore spariscono senza essere di alcuna utilità. Se invece si dà a questi neuroni uno stimolo intellettivo, vengono assorbiti nella rete interna del cervello e diventano una parte organica nella trasmissione dei segnali del cervello. Insomma, il network al suo interno si allarga e funziona più intensamente. La capacità di apprendere e di ricordare migliora. Il risultato è che diventa più facile adattare il pensiero alle circostanze e sviluppare una creatività superiore alla media. Il ragionamento si fa più complesso, l’ispirazione più audace.15
Come si può facilmente intuire, Murakami considera la corsa una pratica di miglioramento del sé che lo porta ad una forma più longeva, più saggia, più forte, più perfetta, in assoluta concordanza con ciò che Foucault definiva tecnologia del sé. Ma egli va ancora oltre, e osservando i benefici fisiologici che il movimento porta al cervello dell’individuo, annulla quella dicotomia tra progresso del corpo e della mente allineandosi alla tradizione di pensiero orientale, e riconosce che il movimento ha aumentato la riserva di energie vitali a cui attingere per la sua attività creativa.
Per concludere, possiamo dire che muoversi con il proprio corpo rappresenta un’occasione conoscitiva che amplifica la propria capacità conoscitiva. Il cammino e la corsa sono occasioni per concentrarsi sulla propria soggettività e per accumulare energie ed esperienze che ci aiutino ad esprimerla. Quando camminiamo e corriamo siamo soggetti che si prendono cura di sé e conoscono se stessi. Dalla conoscenza di sé deriva una consapevolezza più profonda della propria posizione nella Società e nel Mondo, e di conseguenza anche una comprensione maggiore dei due. Dalla pratica del movimento una maggiore libertà di movimento, dalla prassi una conoscenza più estesa e più profonda, e dalla conoscenza generata una capacità di azione e trasformazione più incisiva e duratura. Il baricentro del movimento è la propria umanità, la méta è la propria soggettività.
Bibliografia
- Qui H. Marcuse parla di progresso nell’accezione più occidentale e liberista, e tuttavia in un’ottica di ineluttabilità tipica del materialismo storico di matrice marxista. Presa coscienza del libro nella sua interezza e della trascuratezza nel curare un’esposizione il più chiara possibile, si può dire che Marcuse non ritenga il progresso delle società capitalistiche né come il migliore dei modelli possibili né tantomeno come ineluttabile, e che vi siano state nel passo citato difficoltà o nella traduzione o nell’esposizione originale dell’autore.
- L’uomo a una dimensione, Herbert Marcuse, 1964. Il testo è tratto dall’edizione italiana (p. 83, 84) presso la Piccola biblioteca Einaudi. Per un approfondimento circa il tema dell’eros cfr. anche Eros e civiltà dello stesso autore e sempre edito presso Einaudi.
- In stracarichi tranvai, Evgenij Evtušenko
- Prima dell’incontro, Evgenij Evtušenko
- In cammino, Evgenij Evtušenko
- Poésie et Pensée Abstraite, Paul Valéry
- L’uomo a una dimensione, Herbert Marcuse, p. 73
- L’uomo a una dimensione, Herbert Marcuse, p. 74
- Tecnologie del sé, Michel Foucault, Bollati Boringhieri, p. 13
- Tecnologie del sé, Michel Foucault, Bollati Boringhieri, p. 18
- Il mestiere dello scrittore, Haruki Murakami, Einaudi Super ET, p. 104
- Il mestiere dello scrittore, Haruki Murakami, Einaudi Super ET, p. 113
- Il mestiere dello scrittore, Haruki Murakami, Einaudi Super ET, p. 109
- Il mestiere dello scrittore, Haruki Murakami, Einaudi Super ET, p. 111
- Il mestiere dello scrittore, Haruki Murakami, Einaudi Super ET, p. 102
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