Sotto la maschera, un’altra maschera
Indossare una maschera equivale ad assumere l’identità di ciò che essa rappresenta sovrapponendola alla propria: nel momento in cui ci si soffermi a considerare il rapporto tra il Sé e l’Altro di cui ci si riveste, coprire e nascondere il proprio volto può significare tanto proteggerlo quanto rivelarlo a un livello più profondo.
Fin dall’antichità, nel teatro, l’uso della maschera all’interno degli spettacoli permetteva di riconoscere con maggiore efficacia i personaggi, caratterizzati da elementi che ne definivano il ruolo. Quest’ultima parola, centrale nel contesto teatrale, deriva dal francese rôle, a sua volta dal latino rotulus, ovvero il rotolo di carta sul quale veniva scritto un testo (antecedente del codice e del libro) che, nelle illustrazioni medievali, in particolare in quelle evangeliche, era rappresentato accanto a figure specifiche: ad esempio, il cartiglio è attributo di San Luca, l’evangelista che copia e riceve il sacro Verbo1. Oggi, il termine indica il comportamento e la funzione che un individuo svolge in un determinato contesto, come se ognuno di noi ancora portasse con sé quello specifico rotolo che di volta in volta la società e l’ambiente in cui viviamo ci attribuisce. Infatti, a differenza di San Luca, quotidianamente siamo chiamati a rivestire un numero quasi illimitato di ruoli a seconda delle circostanze: quando sono in famiglia con i parenti o in università con i professori, con i miei amici o con il mio ragazzo, nello spazio reale o in quello virtuale, e ancora, su Instagram o su Linkedin. Ad ogni ruolo, una maschera: l’insieme dei ruoli e delle maschere crea l’individuo o l’individuo è ciò che resta una volta che si sia spogliato di tutti i ruoli e delle maschere?
Sigmund Freud (1856-1939) sostiene che l’atteggiamento di una persona muti nel momento stesso in cui pensa di essere osservata da altri: indossiamo la maschera che pensiamo possa essere più o meno adatta alla situazione, quella più conveniente, non necessariamente la più veritiera. Nel saggio L’Io e l’Es (1923), egli tenta di definire, nel funzionamento psichico umano, il ruolo del conscio e dell’inconscio, arrivando alla distinzione tra Io, Es e Super-io, tre istanze che concorrono a definire il comportamento della persona. In questa triade, è fondamentale il ruolo del Super-io, che comprende le norme sociali esterne, le quali più o meno consciamente influiscono, per lo più sopprimendolo, sull’Es, la parte più profonda dell’inconscio dominata dalla pulsione sessuale attraverso la mediazione dell’Io. Una maschera che si costruisce fin dall’infanzia, con le imposizioni date dalla “Legge” dei genitori, reprime il nostro essere più profondo e ci porta ad assimilare comportamenti, valori e norme determinati dalla società.
Erik Erikson, psicanalista vissuto tra il 1902 e il 1994, riprese e sviluppò le tesi di Freud, sottolineando l’importanza dell’identificazione rispetto agli individui che costituiscono la società. Il parziale rifiuto di essa, soprattutto nella fase adolescenziale, porta la persona ad autodefinirsi in rapporto al contesto: accettare o rifiutare l’imposizione di un ruolo, arrivare a sceglierne uno diverso, per poter comprendere e definire ciò che sta al di là della maschera stessa.
La parola soggetto ci definisce proprio in quanto attori, interpreti di un ruolo attivo, e allo stesso tempo in quanto assoggettati alle norme sociali che ci impongono funzioni differenti. Nella sua prima serie di fotografie, Signs that say what you want them to say and not Signs that say what someone else wants you to say, realizzata tra il 1992 e il 1993, l’artista inglese Gillian Wearing (1963) assegna ai protagonisti entrambi i ruoli. Nell’esprimere i loro pensieri senza il vincolo imposto dalle norme della società, essi rivelano tutto il peso di queste costrizioni.
Nelle sue opere successive, Wearing approfondisce il tema della maschera, realizzando autoritratti in cui indossa supporti che riproducono il volto dei propri familiari, di sé stessa ad età diverse (nella serie chiamata “Album”) oppure di personaggi della storia dell’arte per lei significativi. Il risultato di questo lavoro sono fotografie stranianti che rivelano l’interiorità dell’artista attraverso i suoi occhi, i quali emergono da un travestimento estremamente realistico, come se per arrivare alla verità della propria interiorità si debba attraversare quella altrui.
Nat Trotman, curatore della retrospettiva dedicata a Wearing al Guggheneim di New York nel 2022, afferma riguardo al lavoro dell’artista: «stiamo sempre recitando una parte di noi stessi per il mondo attorno a noi, ma al di là di questo, ognuno di noi ha un’interiorità che rimane privata ed è estremamente importante rispettare il fatto che tutti ce l’hanno. Non possiamo mai conoscere davvero le parti più profonde di nessuno, tanto meno di noi stessi. È anche altrettanto importante conservare questo aspetto e rispettare gli spazi altrui».2
Uno degli autoritratti più significativi, è quello in cui Wearing si presenta nei panni dell’artista surrealista Claude Cahun3 (1894-1954), che in un passo del suo testo Aveux non Avenus (1928) scrisse «Sotto la maschera un’altra maschera. Non finirò mai di sollevare questi volti.»
Cercare di sollevare il maggior numero di volti per rappresentare gli istanti di vulnerabilità più sincera: questo l’intento della fotografa olandese Rineke Dijkstra (1959). I soggetti vengono messi a nudo, posano davanti alla fotocamera tentando di assumere pose classiche, le quali rivelano invece le loro insicurezze nel momento in cui la fragilità dell’individuo prevale sulla plasticità, come nella serie.
Il medesimo obiettivo è quello che si pone Katy Grannan (1969), fotografa e regista americana, nella serie di scatti Boulevard del 2011, in cui i passanti intercettati lungo le strade di San Francisco e Los Angeles sono raffigurati assorti nei loro pensieri: la luce è intensa, lo sfondo bianco, i contrasti dati dai lineamenti dei volti sono forti, nessuna intenzione di mascherare, solo di rivelare.
Si tratta di un tipo di rappresentazione a cui i filtri di Instagram ci hanno reso estranei: le maschere che portiamo quotidianamente non sono più soltanto quelle nella vita reale, ma anche in quella virtuale. Il nostro modo di essere sui social cambia notevolmente rispetto ai nostri modi di essere nella realtà e, sempre di più, ne assumiamo molti a seconda delle diverse piattaforme su cui ci troviamo. Sempre più maschere legate al numero sempre maggiore di social su cui ci troviamo a postare, maschere che si esprimono tanto nelle parole che condividiamo quanto nelle immagini, a loro volta sempre più mascherate da filtri ogni giorno più precisi. La mia bio di Instagram non sarà mai accattivante come quella di Tinder, così come non condividerò mai su Linkedin un video che potrei postare su TikTok; in una foto che mando privatamente a una mia amica difficilmente apparirò allo stesso modo di una che è destinata ad essere pubblicata. I ruoli differenti che assumiamo a seconda delle piattaforme e dei destinatari rispondono alle medesime norme sociali presenti nella realtà, moltiplicando all’infinito il numero di maschere che possiamo di volta in volta adottare. Forse, come scriveva Cahun, davvero non smetteremo mai di sollevare volti e di scoprire nuove maschere: attraverso queste rivelazioni ci perderemo o ci troveremo?
1 Sul rapporto tra immagine e testo si veda: Meyer Shapiro, Scritte in pitture, in Per una semiotica del linguaggio visivo, Meltemi Editore, Roma, 2002, pagine 214-231.
2 https://youtu.be/oN8W8pP9QcM
3 Abbiamo già parlato di Claude Cahun nell’articolo “Mille maschere e mille identità: Claude Cahun”, nel nostro editoriale di giugno 2021, https://rivistaeclisse.com/2021/06/27/lorgoglio-e-il-pregiudizio/6/
Giù la maschera
Editoriale · L’Eclisse
Anno 2 · N° 9 · Febbraio 2023
Copertina di Maria Traversa.
Hanno partecipato alla realizzazione di questo editoriale: Greta Beluffi, Matteo Capra, Michele Carenini, Anna Cosentini, Joanna Dema, Clara Femia, Eugenia Gandini, Marta Gatti, Chiara Gianfreda, Nikolin Lasku, Rosamaria Losito, Matteo Mallia, Erica Marchetti, Laura Maroccia, Giovanni Melli, Marcello Monti, Valentina Oger, Alessandro Orlandi, Matteo Paguri, Luca Ruffini, Arianna Savelli, Tommaso Strada, Vittoria Tosatto, Marta Tucci, Marta Urriani, Adriano Zonta.