Mille maschere e mille identità: Claude Cahun
In questo articolo tratteremo di un’artista di genere non binario. Per mancanza in italiano di un lessico adeguato che rappresenti a pieno questa identità di genere, useremo aggettivi e nomi neutri, quando possibile. Per facilitare la comprensione e scorrevolezza del testo, comunque, a volte saremo costrette a ricorrere a forme femminili, senza però voler sminuire il genere non binario. Qui presso L’Eclisse vogliamo combattere ogni discriminazione contro l’orientamento sessuale o l’identità di genere.
Claude Cahun, nome d’arte di Lucy Renée Mathilde Schwob, fu un’artista, fotografə, attivista antifascista e antinazista, scrittrice ed esponente della corrente artistica del Surrealismo. La sua figura è facilmente collegabile al concetto di anticonformismo, in quanto il suo concetto di arte, esplorato in varie forme, non era collegabile a nessun genere o etichetta. Per gli anni ’20 e ’30 del Novecento fu a dir poco ammirevole la trasparenza che ebbe sulla sua identità di genere (che oggi chiameremmo “genere non binario”), nonostante all’epoca non esistesse ancora un vero linguaggio che parlasse accuratamente di genere e sessualità.
Francese e ebreə, nacque nel 1894 e passò la maggior parte della sua vita nella terra madre; si spostò in tarda età sull’isola di Jersey, nella Manica.
Nel corso della sua carriera si firmò con innumerevoli alias e pseudonimi, sino alla scelta definitiva di “Claude Cahun” nel 1917, sapendo che Claude in francese è un nome neutro.
Nonostante Claude si considerasse più scrittrice che fotografə, è stata la sua fotografia a portare il suo nome alla fama, grazie al contenuto “moderno” che esplorava l’identità di genere e la presentazione di sé. L’arte creata da Cahun, in particolare sotto questo punto di vista, tocca varie tematiche surreali. Una di queste è la netta concezione di un “terzo sesso”, neutrale, che si unisce agli altri due e al contempo se ne scosta. Ciò, nelle sue fotografie era riunito, in un solo soggetto, ləi stessə: per questo motivo le sue opere visive si basavano spesso sul narcisismo e sulla centralità di un’unica figura nella composizione, in cui utilizzava il suo corpo, decorato da vestiti e trucchi di ogni genere, per scardinarsi da qualsiasi classificazione. Usava anche specchi, per riuscire a visualizzarsi da due punti di vista: il suo e quello di un esterno che la guarda. Decideva però ləi come farsi vedere, non come la figura della donna iper-sessualizzata, ma per ciò che era veramente: semplice nella sua complessità, lesbica, non-binary, se stessə. È proprio in questa surrealtà delle sue opere che viene reclamato il diritto di vivere liberamente.
Facendo un salto in avanti, si potrebbe associare l’estetica di Cahun a una prima concezione di “camp”, uno stile esaminato nella cultura occidentale per la prima volta da Susan Sonntag nella sua opera del 1964 Notes on Camp. Essenzialmente, il camp è una sensibilità, un atteggiamento estetico che fa un uso deliberato dell’eccentricità e della stravaganza. Si tratta di uno stile tradizionalmente associato all’estetica omosessuale. Il termine inglese deriva dallo slang francese se camper, “atteggiarsi in maniera esagerata”. Claude Cahun non rientra necessariamente nell’estetica camp, ma non si può negare che la sua estetica abbia contribuito alla formazione di quel gusto sfacciato e impenitente che è cifra della comunità LGBTQIA+. Nei suoi autoritratti si trucca da Pierrot, si veste da body builder, ha la testa completamente rasata, oppure si mostra senza trucco, abbronzata e mentre si sistema il bavero della giacca, in un momento quasi di vulnerabilità davanti a noi spettatori.
La sua arte, però, non riscosse il successo che merita: non solo i movimenti avanguardisti difficilmente promuovevano le opere delle colleghe donne, ma la maggior parte dei suoi scatti, che rappresentavano scene intime o saffiche, erano considerati troppo audaci per l’epoca. Gran parte dei suoi autoritratti furono distrutti nel saccheggiamento del suo appartamento da parte della Gestapo. Ci rimane comunque una parte di ləi nella sua arte conservata fino ad oggi, e con essa il ricordo che la lotta per la libertà di essere se stessə e poter esprimere la propria sensibilità artistica ha un lungo percorso alle spalle. Una figura come quella di Claude non solo ha lasciato un’eredità artistica significativa, ma rappresenta anche un ennesimo sacrificio per arrivare alla realtà libera di oggi.
Nel 2018, la città di Parigi ha rinominato una strada nel sesto arrondissement “Allée Claude Cahun et Marcel Moore”, per celebrare le due artistə e amanti. I più noti lavori di Cahun si trovano al San Francisco Museum of Modern Art e al MoMA di New York. Di recente, Claude Cahun sta ricevendo il riconoscimento che merita: ha ridefinito il significato dell’essere artistə in un ambito costrittivo, in cui le regole le fa solo chi è al potere (nel suo caso, il regime nazifascista). Ancora oggi lə consideriamo un’icona queer. Ricordiamo che, anche al giorno d’oggi, le discussioni che ruotano attorno ai temi del genere e della sessualità non sono dei “trend”, ma parte di un dialogo molto più lungo e esteso, che riguarda la rappresentazione queer e le sue molte sfaccettature. Claude Cahun ha decisamente contribuito a portare alla luce questi temi, rappresentandoli nelle sue opere, nella sua vita privata e artistica e nella sua continua lotta.
di Alice Santamaria e Vittoria Tosatto
p. 7 →
← p. 5