Vedere per credere – Uno sguardo contemporaneo sull’estetica del divino
La questione religiosa, nelle sue molteplici e sfuggenti declinazioni, è da sempre fortemente legata all’espressione artistica. I reperti archeologici e le opere d’arte dell’antichità, del resto, dimostrano in modo incontrovertibile come la stessa nascita dell’arte possa collegarsi al principio di un sentimento religioso nella specie umana; dai graffiti propiziatori per la caccia, alle statuette di idoli o divinità, sono molte le testimonianze concrete che avvalorano questa tesi.
Va inoltre notato come, con la nascita delle grandi religioni monoteiste (una su tutte, il cattolicesimo), l’arte e l’estetica abbiano intrapreso un percorso che le ha legate strettamente alle riflessioni sul divino. Che si parli di dinamiche economiche dovute al potere politico della Chiesa, o del forte valore iconico di figure come quelle presenti nelle Sacre Scritture, è impossibile negare la forza attrattiva che ha portato schiere di artisti a confrontarsi con temi religiosi.
Inoltre, se a questo discorso facciamo subentrare una riflessione sull’impatto culturale, sociale e filosofico che la religione ha avuto – e continua ad avere – sulla storia dell’umanità, non ci può stupire il modo in cui la trattazione estetico-artistica del divino mantiene ancora oggi una rilevanza non trascurabile. Sebbene in questa sede ci si occupi prevalentemente dell’ambito europeo e, più in generale, occidentale, il tema religioso è centrale per molti movimenti artistici e culturali in tutto il globo.
Il primo aspetto degno di nota, approcciandosi a un tema così ampio, è il forte cambiamento che le forme artistiche hanno attraversato, sia indipendentemente che in rapporto al tema della divinità. Come specificato in apertura, il tema religioso entra nelle dinamiche dell’arte fin dalla preistoria; è quindi possibile constatare come il divario temporale tra l’epoca contemporanea e quella antica abbia contribuito a un mutamento sostanziale nelle forme artistiche. Un esempio rilevante emerge da un caso di studio molto particolare, ovvero la Chiesa di Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa, situata nella periferia milanese (ne avevamo già parlato in passato qui). In questo edificio, completato negli anni ’60, l’opera dell’artista americano Dan Flavin crea un interessante parallelismo con un tipo di rappresentazione del sacro tipico dell’epoca antica: le luci al neon di Untitled, installata nel 1997, illuminano infatti l’interno in maniera quasi surreale, ma non del tutto estranea all’ambiente religioso. In realtà, il mezzo espressivo della luce caratterizza da sempre la rappresentazione del sacro; ne sono un esempio gli sfondi dorati dei mosaici antichi (come si può vedere, ad esempio, nelle opere bizantine del duomo di Monreale).
L’apparente divario formale – e temporale – che separa questi due tipi espressivi è quindi ricongiungibile in una dinamica di unità e coerenza, che può essere di grande utilità nella lettura critica di approcci artistici anche molto diversi tra loro.
Va inoltre evidenziato come, soprattutto in conseguenza all’emergere di nuove visioni filosofiche, il sentimento religioso sia andato incontro a una crisi non trascurabile, ben evidente durante il corso di tutto il XX secolo, fino al giorno d’oggi. Si parla, in questo caso, di una contrazione a livello numerico dei fedeli e di una progressiva sfiducia nelle istituzioni religiose (come vedremo in seguito con Cattelan), ma non solo. Forse, addirittura, è stato l’insorgere di modelli e riferimenti alternativi al divino a contraddistinguere questo progressivo cambiamento. È innegabile, in primis, come le grandi rivoluzioni scientifiche del secolo scorso abbiano contribuito a creare nuove ideologie, prontamente recepite ed elaborate dall’arte figurativa; infatti, dal relativismo di Einstein alla rivoluzione tecnologica, sono molti gli spunti che l’estetica contemporanea ha inglobato.
Un esempio lampante di questo processo è rappresentato, in ambito italiano, da Alighiero Boetti; nel caso dell’artista torinese è stato il fascino del calcolo matematico, con le sue possibilità combinatorie e la sua tensione all’infinito, a rappresentare una delle suggestioni più importanti. Figura peculiare e straordinariamente riconoscibile, Boetti ha saputo elevare i propri riferimenti “scientifici” a un livello esistenziale, realizzando opere in cui la combinazione degli elementi crea pattern contemporaneamente casuali e definiti con precisione. A più riprese egli dà prova della profondità di lettura delle proprie fonti, come accade per Alternando da uno a cento e viceversa (1977), di cui egli realizza varie versioni. Una di queste è stata recentemente esposta nel contesto della mostra “Il Numinoso”, tenutasi alla Building Gallery a Milano. Utilizzando uno dei mezzi che lo hanno reso celebre, ovvero il tappeto ricamato, l’artista gioca con le combinazioni matematiche rappresentando con tratti bianchi e neri la progressione numerica da 1 a 100. Visualizzando un concetto intangibile come quello del numero attraverso una sequenza di positivi e negativi, Boetti rappresenta in qualche modo la stessa infinità e indefinitezza che in passato avevano contraddistinto l’idea del divino.
Si potrebbe parlare, in questo caso, di una sorta di “dispersione della divinità”; attraverso una molteplicità di visioni e approcci differenti, l’arte ricerca una serie di nuovi poli attrattivi. È interessante notare come, in questo caso, sia la rappresentazione visiva a conferire loro una certa singolarità, elevando determinate figure o concetti al ruolo di idolo. Se però storicamente il divino era contraddistinto da una incolmabile distanza che lo separava dalla piena comprensione logica dell’uomo, nell’ambito contemporaneo compaiono invece figure pronte a sfidare questo assunto. È l’ironia, in questo caso, a permettere ad alcuni artisti di sfidare le convenzioni e “avvicinare” la divinità, con risultati a tratti paradossali. Ne è un’ottima rappresentazione una stampa degli anni ’70 di Gino De Dominicis, anch’essa figurante nel catalogo di opere esposte de “Il Numinoso”: l’artista non deve far altro che alterare grammaticalmente la parola “Dio”, trasformandola nell’irriverente formula “D’io”. Aggiungendo il sottotitolo “invito”, inoltre, De Dominicis rivela la propria intenzione di ribaltare la prospettiva tradizionale ricucendo la frattura con il piano ultraterreno, arrivando fino ad auto-coinvolgersi in prima persona. Quello che potrebbe apparire come un ironico affronto può dunque essere interpretato come un tentativo di restituire un’immagine più umana della divinità e delle istituzioni religiose, spesso ritenute lontane dalle reali esigenze dell’umanità.

Un secondo possibile filone di ricerca vede maggiormente coinvolta l’istituzione religiosa, in quanto realtà sociale e politica: l’opera chiave di questa lettura critica è individuabile in uno dei capolavori di Maurizio Cattelan, La nona ora. La rappresentazione cruda e la tecnica iperrealista hanno reso la scultura dell’artista italiano un caso mediatico non indifferente, fino a scatenare un dibattito che ha interessato non solo altri artisti, ma la stessa Chiesa cattolica. In questo caso, l’importante figura di Giovanni Paolo II è inserita in una narrazione immaginaria – e a tratti distopica – in cui viene colpito da un asteroide; ad alimentare teorie di varia natura è stata invece la posizione del pontefice, che è ritratto reclinato su un fianco mentre si sorregge aiutato dal proprio pastorale (il bastone utilizzato dal Papa). Lasciando aperta la possibilità di interpretare la postura del soggetto, Cattelan si dimostra abilissimo nel creare scalpore, dando adito a discussioni che interpretano l’opera come un simbolo della forza dell’istituzione clericale o, al contrario, come una sua estrema dimostrazione di debolezza.

Al di là delle specifiche dinamiche artistiche, senz’altro dipendenti dalle forme e dai soggetti presi in esame, è quindi possibile affermare che il divino e la religione continuino a essere tematiche fondamentali dell’estetica del contemporaneo. Sia che si considerino tali questioni da un punto di vista filosofico-esistenziale o che si scelga di farlo in ottica sociologica, il rapporto con la divinità conserva tuttora una forza culturale difficile da scalfire; al netto di ulteriori crisi del sentimento religioso nel futuro, possiamo dunque aspettarci che l’uomo non smetterà di rappresentare quel che crede di non poter conoscere a pieno.
di Matteo Capra