Tirannia
Clis-tene, democrazie sequentur
Tutti odiamo il potere dispotico – per dirla alla toscana, “lo si odia”: dal contesto familiare, a quello lavorativo, dagli esempi politici più recenti di chi lo detiene (come Putin) a chi lo assaggia e lo rivuole come Trump, fino a realtà per noi lontane e inimmaginabili come la Cina di Xi Jinping o la Corea del Nord di Kim Jong-un.
Ma quando, nella storia dell’Occidente, è nata questa repulsione per il potere nelle mani di uno solo? Quando, insomma, abbiamo capito che la tirannia, per dirla con una parafrasi leibniziana, era il peggiore dei governi possibili e il seme di questa lezione si è impiantato nel terreno della cultura europea?
È una mia fissazione quella di cercare di trovare e conoscere i turning point nella storia della cultura: le soap opera di Canale 5 sarebbero forse esistite senza il contributo di Jane Austen alla letteratura? Le serie romanzate di Netflix sui delitti più indicibili sarebbero state concepibili senza Delitto e Castigo? Desperate Housewives sarebbe mai nato senza Madame Bovary e Anna Karenina? È alquanto facile dimenticare che la cultura ha sempre delle radici, e che procede per imitazione e rielaborazione.
Cercando online per rispondere al mio quesito iniziale sulla tirannia mi sono imbattuto in una tesi originale ma convincente: la caratterizzazione in termini negativi del governo tirannico inizia parallelamente con le prime innovazioni democratiche introdotte da Clistene ad Atene nel 509 a.C. È l’acquisizione di nuovi diritti politici a permettere lo sviluppo di una coscienza civica che ripudia il ritorno ad una forma di governo in cui i cittadini godono di una partecipazione minore.
Il merito di Clistene è stato quello di allargare la condizione di isonomia (uguaglianza di diritti politici), prima riservata ai soli aristocratici, a tutti i cittadini. Pur mantenendo la diversità di reddito, istruzione, cultura, tutti i cittadini potevano partecipare all’assemblea della città e cioè al governo della Polis.
L’autocrazia nasce in un contesto di guerra
Ma quali sono, esattamente, sono i punti di contatto tra la tirannia e il tema dell’editoriale di questo mese, ovvero la guerra e la pace?
Essi sono da cercare, direbbe Machiavelli, nella verità effettuale, varrebbe a dire, con termini più moderni, nell’esperienza empirica.
Sia il pensiero classico che quello medievale, che Machiavelli eredita, individuano la stasis, cioè la guerra civile, come circostanza che favorisce l’instaurarsi di un governo tirannico.
I tiranni dell’antichità greca e romana (celebre il caso di Silla) sorgono in un contesto di lotta per il potere tra aristocratici e si fanno garanti dell’uguaglianza tra le parti in conflitto e dell’ordine all’intera società. È impossibile evitare l’analogia con l’ascesa al potere di Putin, in una situazione di strapotere degli oligarchi russi.
All I hear is sirens in a world so violent Would you be a tyrant? If I gave you power, would you take it out? Look me in my iris, I can read your silence When everything is a riot You're my peace and quiet
Così canta Kali Uchis nella sua Tyrant, chiedendosi se concedere più potere al partner lo porterà a diventare un tiranno, e risolvendo che, nello stato generale di caos, questi rappresenta la pace. I versi si prestano all’analogia: concedere il governo al tiranno porta alla pace, ma essa ha i giorni contati ed è solo apparente. Nuove guerre, questa volta condotte dal despota stesso, si propagano in diverse direzioni.
I tiranni fanno guerra allo Stato
Tu eri avvolto per me dall’enigma di tutti i tiranni, il cui diritto è fondato sulla loro persona e non sul pensiero.
F. Kakfa, Lettera al padre
Una volta ottenuto il potere, il tiranno non vuole più perderlo. La minaccia più importante al mantenimento del suo dominio sono le istituzioni e le leggi precedenti. Prendiamo ad esempio un caso recente, quello del colonnello Gheddafi, dittatore della Libia dal 1969 al 2011. I suoi primi provvedimenti, dopo il colpo di stato che lo portò al potere, furono l’abrogazione della libertà di parola e di riunione e il divieto di scioperare e costituire sindacati. Nel ‘76 si assistette ad una svolta ancora più autocratica: le elezioni non vennero più organizzate e Gheddafi affidò tutte le posizioni di potere a suoi lealisti.
Caso più antico ma simile quello del primo e del secondo triumvirato romano, che si concluderanno con la nascita dell’impero: passaggi di potere che erodono via via il potere delle vecchie istituzioni repubblicane, come il senato, le magistrature e i comizi, concentrandolo nelle mani di un’unica figura
I tiranni insediano i loro sudditi
Vi è poi una guerra diretta al popolo nel suo insieme. Per ciò che concerne la massa, i campi d’azione del tiranno sono due: l’informazione e l’istruzione. Si può cominciare citando la puntigliosa cura di Stalin nel controllare qualsiasi veicolo di notizie e la produzione artistica e letteraria. La costituzione della bolla del regime, di una cupola di vetro dove nulla entra e nulla esce è un passo fondamentale che si compie con il plagio delle coscienze.
Mi racconta mia madre che il giorno in cui morì il dittatore albanese Enver Hoxha (11 Aprile 1985) mia nonna scoppiò a piangere e dichiarò che l’Albania era finita. Con lei molti altri cittadini si riversarono per le strade a versare lacrime: era la fine della realtà come la conoscevano. L’influenza del despota sui media era stata tale da far credere alla maggioranza della popolazione che le sorti dello stato dipendessero da un’unica persona.
Proseguendo col tema dell’istruzione, mi vengono in mente la costituzione dell’Opera Nazionale Balilla da parte di Mussolini (un’organizzazione giovanile istituita durante il ventennio fascista finalizzata all’educazione culturale e alla preparazione sportiva e premilitare) e due libelli: il Libretto Rosso di Mao e il Libro Verde di Gheddafi. Il primo, contenente il pensiero del leader della Rivoluzione Culturale cinese e inizialmente rivolto ai soldati, divenne poi materia di studio a scuola e al lavoro. Il secondo fu l’unico libro insegnato a scuola in Libia a partire dal 1976 e contiene la personalissima concezione del colonnello riguardo alla politica, alla società e all’economia. Nessun cenno alla geografia, nessuna lingua straniera, il boicottaggio del sistema metrico sono alcune delle chicche che Gheddafi si concesse nella redazione del sussidiario; e oltre al testo scritto, un tour attraverso il suo stato, per impartire lezioni di persona.
[…] si trattava della tua persona, misura di tutte le cose.
F. Kafka, Lettera al padre
I tiranni convogliano le paure e le insofferenze verso la guerra ad un nemico esterno o interno alla società
Fonte alquanto curiosa di esempi citati fino ad ora e in seguito dalla storia più recente è una serie Netflix: How to become a tyrant. In sei episodi, dal gusto documentaristico tipicamente americano (e cioè vale a dire con ricostruzioni romanzate, giudizi tranchant e interviste a qualsiasi esperto che durano meno di dieci secondi), si percorre l’ascesa e la caduta di molte dittature. Se volete far vedere qualcosa di galvanizzante al vostro amico o fidanzato etero basico o se volete ridere ma anche imparare dettagli e avvenimenti sconcertanti, essa fa per voi.
Se invece desiderate una lettura più istruttiva consiglio The dictator’s handbook – Why bad behaviour is almost always good politics, ahimè disponibile, per ora, solo in inglese.
Torniamo al tema del paragrafo: i nemici, reali, immaginari, fisici o figurati. La guerra ha sempre dei bersagli scelti programmaticamente.
Possono essere nemici dell’economia: tutti ci ricordiamo della campagna di diffamazione che ha iniziato la persecuzione degli ebrei in Germania; o, più recentemente, quella degli asiatici, soprattutto indiani, nell’Uganda di Idi Amin Dada. “La scorsa notte ho sognato che gli asiatici mungevano una mucca ma non le davano da mangiare”: con questa premonizione di Costantino, avuta dal dittatore ugandese, che non ha nulla di rivelatore se non il suo essere artefatta, inizieràla cacciata degli indiani che erano emigrati nello stato africano durante la reggenza britannica. I loro esercizi commerciali saranno affidati poi ad ugandesi senza alcuna conoscenza dell’imprenditoria, e l’Uganda conoscerà una grave crisi economica per mancanza di materie prime ed inflazione elevatissima.

E ancora: la lotta di Stalin ai Kulaki, i contadini russi indipendenti, durante gli anni ‘30, o quella agli italiani in terra libica sostenuta da Gheddafi. Nel primo caso il dittatore russo trovò un capro espiatorio per gli errori di programmazione agricola del Partito; nel secondo il colonnello individuò qualcuno da incolpare per la povertà del popolo libico, causata in realtà dalla gestione della ricchezza petrolifera a suo beneficio personale.
Nemica può essere la povertà stessa: e allora l’autocrazia dirotta l’attenzione delle masse verso le grandi opere pubbliche o la ricerca di un posto al sole altrove. Ridicolo è il caso di Gheddafi che impiega il 15% del PIL della Libia per costruire un fiume artificiale che dalle falde acquifere del sud-est del paese lo rifornisca per intero, trasformandolo in un’oasi nel deserto. Riserve di acqua che, stando ad alcuni studi, potrebbero esaurirsi prima della metà del secolo. Atroce e tragicomica è l’invasione dell’Etiopia da parte dell’Italia: non fosse successa, forse potremmo essere risparmiati dal sentire il nome di Indro Montanelli a mesi alterni.
Altre volte, la guerra viene mossa al di fuori del proprio orto: è il caso del dittatore ugandese Amin, che nel ‘96, quasi alla fine del suo regime, a fronte di un calo dei consensi, decide di invadere la vicina Tanzania. O di Hitler che, con l’intento di vendicare la Germania dalla sorte della Prima Guerra Mondiale, pianifica e mette in atto un’invasione dell’Europa.

Conoscere e scampare il pericolo
Abbiamo finora esaminato le aree di intersezione tra la tirannia e la guerra. Lo scopo di questa dissertazione è certamente quello di diffondere consapevolezza e di far sì che la nostra coscienza di cittadini si risvegli e allarmi di fronte a fenomeni simili a quelli trattati. Le tirannie non nascono nel corso di una notte ma piuttosto sono frutto di una serie di modificazioni in senso autocratico, che possono colpire anche e soprattutto le democrazie. I danni delle precedenti legislature Berlusconi, la politica di paura e di odio di Salvini e della Meloni e, fatto contemporaneo alla stesura dell’articolo, la discussione riguardo alla riforma della Magistratura dovrebbero farci preoccupare riguardo alla salute dell’ordinamento democratico dell’Italia.
Un altro quesito sorge strisciando, ed è già stato sollevato da Tocqueville nella sua De la démocratie en Amérique: la democrazia è il migliore dei governi possibili? I rischi per essa sono solo esterni alla democrazia stessa? La risposta porta ad un termine che è poi divenuto abusato: la dittatura (o tirannia) della maggioranza. Tutte le democrazie occidentali si fondano sul dogma della sovranità popolare e si basano su un sistema di valori che ha come principi primi l’uguaglianza e la libertà. Ma cosa succede se i cittadini trascurano ciò che va al di là della propria stretta cerchia di amici e conoscenti? Se altri fattori (vedi ad esempio la globalizzazione o la diffusione dei social media) portano ad un conformismo di massa? Se non si ha tempo per dedicarsi alla cosa pubblica, per coltivare la vita civica? Se il sistema economico e mediatico plasmano individui privi di originalità e mancanti di idealità? Che fine fa, insomma, la democrazia se il cittadino è spoli(ticizz)ato? Il rischio è quello di un materialismo onestamente borghese e di un edonismo apolitico. Finiti in un individualismo cieco, i cittadini lasciano la sfera pubblica in balia della contingenza politica. Possiamo trarre esempi diretti dal nostro Paese: è dal Boom Economico, e cioè da quando l’Italia si è configurata come paese trasformatore, che essa non ha più una direzione economica e produttiva che dimostri una qualche programmazione e lungimiranza; fattori indicativi di ciò sono l’alternanza politica degli anni ‘90 e 2000 e la disposizione a cambiare continuamente partiti politici al governo, nonché l’instabilità e la caduta frequente dei governi stessi; gente come Di Maio fatta per due volte ministro; e molto altro ancora.

Una parentesi a parte merita il discorso delle minoranze: se la maggioranza decide per tutti, da chi sono tutelate? Bisogna che si affidino al paternalismo illuminato della maggioranza? Caso recente quello del DDL Zan, affossato in Parlamento; caso più vecchio quello delle quote rosa, che tutt’ora faticano ad essere riconosciute come indispensabili per il progresso democratico del Paese.
Vestiamoci
Gli uomini a volte sono padroni del loro destino. La colpa, caro bruto, non risiede nelle nostre stelle, ma in noi, che siamo sottomessi.
William Shakespeare, Giulio Cesare (I, I1, 140-141)
Gli ideali democratici non sono universali e trascendenti: come abbiamo visto all’inizio, essi sono frutto di un processo storico, e dal procedere della Storia essi possono venire a mancare. La responsabilità della democrazia sta ai cittadini: se il fuoco è prometeico, l’assetto democratico è terribilmente umano e va conservato acceso. Siate Vestali politiche.
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