Sesso, cavolo e cubani
Scandali e amori del cantautore più irriverente di Francia

Se capite il francese, posso consigliarvi innumerevoli fonti per approfondire la vita e l’arte di Serge Gainsbourg (alcune le troverete in fondo a questo articolo). D’altronde, se capite il francese, è altamente improbabile che voi non abbiate mai sentito parlare di Serge Gainsbourg e che, volenti o nolenti, abbiate abbastanza presente la sua storia, o quantomeno conosciate qualcuna delle numerose leggende sul suo conto. Immagino dunque che questo articolo non sia per i nostri lettori francofoni: partiamo dalle basi.
Il nostro, all’anagrafe Lucien Ginsburg, nacque il 2 aprile 1928 da genitori ebrei sovietici (il padre era nato a Istanbul e la madre a Feodossia, in Crimea). Fratello minore di Marcel, morto a sedici mesi per una polmonite, e Jacqueline, e gemello di Liliane, Lucien crebbe in una famiglia di musicisti: la madre era un mezzosoprano, il padre aveva studiato il pianoforte al conservatorio di Leningrado e a quello di Mosca; entrambi, una volta emigrati in Francia, vissero di musica, rispettivamente come cantante al conservatorio russo di Parigi e come pianista di bar e cabaret.
Nonostante l’ottenimento della cittadinanza francese nel 1932, l’intera famiglia, nel periodo del collaborazionismo, fu costretta a indossare la stella gialla e a lasciare Parigi per le campagne limosine e lionesi, facendone ritorno solo nel 1944. Gli anni della guerra furono molto duri per la famiglia Ginsburg: le sorelle Jacqueline e Liliane vennero cacciate da scuola e rifiutate dagli istituti cattolici, i genitori persero il lavoro, addirittura una commissione speciale di Vichy decise di denaturalizzarli a causa della loro confessione religiosa. Il piccolo Lucien fu iscritto ad una scuola media pubblica e alloggiato in una pensione sotto falsa identità. Una sera, per salvarsi da un raid a sorpresa della Gestapo, si vide costretto a trascorrere la notte nei boschi, da solo e terrorizzato, esperienza che lo marcherà profondamente.
Pianista autodidatta, il primo grande amore di Lucien fu, tuttavia, la pittura. Dai quattordici anni in poi, la sua passione per Mantegna, Picabia, Bacon non fece che aumentare e, dopo la Liberazione, tornato a Parigi, si iscrisse all’Accademia delle Belle Arti di Montmartre, dove studiò con Fernand Léger e André Lhote. Lì conosce anche la modella russa Élisabeth Levitsky, che diventerà la sua prima moglie il 3 novembre 1951. All’Accademia e tramite Élisabeth, segretaria del pittore Georges Hugnet, Lucien cominciò a frequentare i circoli surrealisti. Nel frattempo, nel 1948 prestò servizio militare a Courbevoie, dove, tra una punizione per insubordinazione e un bicchiere di vino, imparò a suonare la chitarra.
Gli anni Cinquanta furono, per la coppia, gli anni della bohème: Lucien viveva di piccoli lavoretti mentre sperava di sfondare come grande pittore, senza successo, e con Élisabeth si trasferì in una stanzetta della Schola Cantorum di Parigi, ammobiliata solo di un pianoforte in pessimo stato, che Lucien riparò per poterlo suonare. Un giorno, però, i due sposini scoprirono una porta segreta che portava a una sala concerti allora utilizzata da gruppi jazz americani come studio di registrazione. Piano piano, le ambizioni pittoriche lasciarono spazio alla vocazione musicale, e dal 1954 Lucien lavorò nei piano-bar dei casinò nei paesini costieri, Deauville o Le Touquet Paris-Plage, e nei cabaret parigini, sostituendo suo padre o componendo le musiche per le riviste, così come canzoni tutt’oggi inedite. Lucien si esibiva sotto lo pseudonimo Julien Gris, poi Julien Grix, fino ad arrivare, nel 1957, al definitivo nome Serge Gainsbourg, omaggio alle sue origini russofone e al pittore inglese Thomas Gainsborough. Sempre tra il 1957 e il 1958, ispirandosi al cinismo e all’anarchia di Boris Vian, ma vincendo una timidezza tutta sua, Gainsbourg iniziò ad esibirsi con le sue canzoni, prima nei cabaret e poi in televisione. Finite le ambizioni pittoriche: l’artista distrusse tutte le sue tele, con un gesto che segnerà definitivamente il termine del suo matrimonio, già parecchio provato da flirt e tradimenti del novello poeta maledetto.
Il passaggio tra i Cinquanta e i Sessanta è fondamentale per capire il passaggio da dada a yéyé. I primi album di Gainsbourg, Du chant à la une… (1958), N°2 (1959), L’étonnant Serge Gainsbourg (1961) e N°4 (1962) non riscontrarono grande successo, ad eccezione della primissima canzone da lui presentata, in una performance quasi toccante nel suo palpabile nervosismo. Una canzone dal ritmo frenetico e il testo tragico, che ancora oggi spinge i suoi fan a lasciare sulla sua tomba, al cimitero Montparnasse, biglietti del metrò, perché è il sogno escapista in prima persona di un obliteratore della metro, che medita il suicidio pur di evadere la sua condizione: Le poinçonneur des Lilas.

La canzone, il cui stile è chiaramente debitore di Boris Vian (e non a caso Gainsbourg collaborerà fino a N°4 con Alain Goraguer, già arrangiatore di Vian), è un autentico classico della musica leggera in Francia. Tuttavia, come dicevamo, la consacrazione tardò ad arrivare, e Gainsbourg si avvicinò, per sopravvivere, al mondo del cinema, come attore e soprattutto come compositore: proprio dalla colonna dell’omonimo film arrivò, nel 1960, il secondo successo, L’eau à la bouche. Personalmente io adoro questa performance televisiva, in cui lottano ancora il ragazzino timido e l’artista tormentato (l’inquadratura iniziale che mette in risalto gli occhi e il fumo della sigaretta dice già tutto). Oltre all’attività cinematografica, Gainsbourg iniziò anche a scrivere canzoni per altri artisti – e soprattutto artiste –, tra cui non possiamo non citare Juliette Gréco, cui dona la splendida La javanaise, Barbara, Petula Clark. Soprattutto, iniziò nel 1964 la collaborazione con una giovanissima France Gall (N’écoute pas les idoles e Laisse tomber les filles), che li porterà fino alla vittoria dell’Eurovision 1965 con Poupée de cire, poupeé de son.
Il lavoro solista di Gainsbourg continuava instancabile, con nuove colonne sonore cinematografiche e album molto sperimentali, quali Gainsbourg confidentiel (1963), un prodotto di jazz d’avanguardia minimalista, con solo voce, contrabbasso e chitarra elettrica, da cui ricordiamo principalmente i brani La saison des pluies e Elaeudanla Téitéia (Lætitia), e Gainsbourg percussions (1964), in cui per la prima volta il cantautore si accompagnò a cori femminili, ispirandosi ai suoni di Babatunde Olatunji e Miriam Makeba. Il primo intenterà anche una causa per plagio, vinta nel 1986, per le canzoni Joanna, adattata da Kiyakiya, New York USA, da Akiwowo, e Marabout (Gin-go-lo-ba). Gainsbourg dirà dell’album: «L’art abstrait a fait éclater la peinture: quand en musique on fait éclater les formes, il ne reste que les percussions, au désavantage de l’harmonie», affermando poi che i ritmi africani erano gli unici adatti a descrivere quell’epoca.
Se gli esperimenti formali continuarono a non riscuotere l’affetto del pubblico, le incursioni nel pop degli yéyé diventarono fenomeni radiofonici, sempre grazie a France Gall e alla sua voce limpida e innocente: così, dopo la cinica Baby Pop (1966), si arrivò finalmente al primo, vero, grande scandalo della carriera di Gainsbourg, Les sucettes. Con una melodia semplice, quasi da canzonetta per l’infanzia, e un testo dal chiarissimo doppio senso alludente alla fellatio, la canzone scioccò anche i più libertini dei francesi e valse a Gainsbourg la fine della collaborazione con Gall, allora appena diciottenne, ma anche un grandissimo successo, di fatto chiudendo la fase jazz e aprendo le porte al pop yéyé, in voga al momento. Del 1967 è la colonna sonora del telefilm musicale Anna, con Anna Karina, Marianne Faithfull e lo stesso Gainsbourg, da cui uscì la hit Sous le soleil exactement, nonché la sarcastica Du poison violent, c’est ça l’amour, in cui l’essenza aspra di Gainsbourg sprizza da tutti i pori.
Lo stile yéyé di Gainsbourg è spesso articolato in botta e risposta tra il cantante, che ripete la stessa, semplice melodia, e un coro o voce femminile, che spesso risponde con singole parole o con le stesse frasi ripetute. I testi sono giocosi, ironici, pieni di citazioni pop e frasi o parole inglesi ma pronunciate con forte accento francese, da Docteur. Jekyll et Monsieur Hyde, a Ford Mustang, ai riferimenti a Barbarella e ai Beatles in Qui est “in” qui est “out”. I temi sono l’amore, il sesso, i riferimenti letterari colti – Gainsbourg adorava la poesia, soprattutto Rimbaud, Baudelaire, e Verlaine (agli ultimi due ha dedicato due romantiche canzoni) –, ma non mancano doppi sensi osceni o disturbanti, come il sottinteso vagamente pedofilo di Comic Strip (1967). In pieno spirito poète maudit, Gainsbourg aveva deciso di prendere la musica pop e manipolarla per “épater les bourgeois”!

Comic Strip fu un passo importante, più che nella vita professionale di Gainsbourg, nella sua vita sentimentale: infatti, è un duetto con Brigitte Bardot. Le strade dei due si erano già incrociate in passato (lei aveva cantato alcuni suoi brani, come L’appareil à sous nel 1963 e la popolarissima Harley Davidson sempre nel 1967), ma appena si conobbero davvero scatta una passione folgorante… e adulterina, poiché lei all’epoca era sposata col gelosissimo Gunter Sachs. Nel 1968 i due collaborano all’album Bonnie & Clyde, il cui singolo eponimo è un successo planetario, soprattutto negli Stati Uniti: se avete visto Mad Men, l’avrete sicuramente sentita. Le melodie cantate da Gainsbourg si semplificano, nei versi, tanto da diventare di fatto un chanté-parlé che ha fatto scuola ed è da allora diventato il marchio di fabbrica del cantante. Gli arrangiamenti orchestrali contrastano magnificamente con la voce maschile, profonda e un po’ “annoiata”, creando un irresistibile mix dolce-amaro. Poco dopo Bonnie & Clyde, con la scusa della partenza dell’attrice per il set di un western in Almeria, più probabilmente a causa delle pressioni di Sachs, che minacciava il divorzio, la coppia si separò e Gainsbourg dedicò all’amata la malinconica e ammaliante Initials B.B., la cui melodia di base è derivata dalla nona sinfonia di Antonin Dvorak. Questi piccoli “furti” dal repertorio classico non erano una novità nel repertorio di Gainsbourg (Poupée de cire si rifaceva alla prima sonata per piano di Beethoven), che vampirizzerà anche Brahms (Babe alone in Babylone) e Chopin (Jane B., Lemon Incest), tra gli altri. Amava dire di amare la «grande musica» e di volerla imitare perché lui faceva della «piccola musica» (considerò sempre la musica un’arte minore, in quanto non necessita di un’iniziazione per apprezzarla, a differenza della pittura).
La canzone più importante della collaborazione tra Bardot e Gainsbourg, però, fu quella che non pubblicarono. Era il 1967, e l’attrice chiese al cantante di scriverle «la più bella canzone d’amore del mondo»: nasceva Je t’aime… moi non plus, indubbiamente il più grande successo della carriera del cantautore, sicuramente uno dei più grandi scandali. Il brano è, al solito, un duetto tra un uomo e una donna nel pieno dell’amplesso, che ironizza sulla propensione alle dichiarazioni d’amori nei momenti più sensuali, anche se non sono davvero sentite, e si conclude con una lunga parte strumentale accompagnata solamente dai sospiri estasiati e suggestivi della voce femminile. Leggenda vuole che la canzone sia stata registrata durante un rapporto tra i due interpreti, cosa ovviamente improbabile.
Appunto, non sarà Bardot a cantare nella versione ufficiale e pubblica di Je t’aime, bensì Jane Birkin: lei e Serge si incontrarono sul set di Slogan (Pierre Grimblat, 1968) e si odiarono subito. Poi non si odiarono più: probabilmente sono ancora oggi la coppia più famosa della storia francese e i dieci anni del loro idillio coincidono totalmente con un’altra fase – la più fulgida – della carriera di Gainsbourg. La versione Birkin di Je t’aime… moi non plus uscì nel 1969, modificata rispetto alla precedente soprattutto in un aumento di ottava che costringe Birkin a cantare con un falsetto quasi sussurrato, e si attirò critiche e censure da ogni parte, non da ultima quella del Vaticano, che arrivò a scomunicare la coppia. Non paga, questa pubblicò anche 69 année érotique, altro singolo trainante dell’album in duo Jane Birkin – Serge Gainsbourg.
Dopo una scomunica del Vaticano, sembrava difficile essere ancora più provocatori. Non per Gainsbourg, che inaugurò gli anni Settanta con il suo capolavoro, il concept album Histoire de Melody Nelson (1971), ispirato a Lolita di Nabokov, il suo romanzo preferito. Influenzato dal prog-rock inglese dell’epoca, l’album assomiglia quasi più a un poema sinfonico, con lunghe sequenze strumentali di archi e chitarre elettriche e pezzi sperimentatori come Ah ! Melody, in cui all’arrangiamento si accompagna semplicemente la risata incontrollata di Jane Birkin solleticata da Gainsbourg.

Nel 1973 il cantante venne colpito da un arresto cardiaco, cui rispose con la promessa di bere e fumare di più e con Vu de l’exterieur, album più intimo del precedente, ricco di temi tratti dalla sua vita famigliare, ma in cui compaiono doppi sensi ancora più arditi (La poupée qui fait, a prima vista dedicata alla figlia Charlotte) e sempre più frequenti riferimenti scatologici (Panpan culcul, Des vents des pets des poums). Seguirono nel 1975 Rock Around the Bunker – da cui, parlando di provocazioni, trasse il singolo Nazi Rock, rifiutato da numerose emittenti radiofoniche – e L’homme à la tête de chou del 1976, nuovo concept-album. Riferendosi spesso a se stesso con il titolo dell’album, Gainsbourg non nascose mai l’insicurezza riguardo il suo aspetto fisico, che l’aveva portato ad abbandonare i concerti live nel 1965, quando aveva ricevuto numerose ingiurie. Solo nel 1979 tornerà su un palco, insieme alla band rock Bijou, accolto da un’ovazione sentita.

Gli anni Settanta, sperimentatori non soltanto nella musica, ma anche al cinema (nel 1976 esordì dietro la macchina da presa con la storia omoerotica Je t’aime… moi non plus), non furono supportati da immediati successi commerciali: tuttavia, il pubblico giovane riscoprirà a breve la discografia gainsbouriana di questo periodo, che influenzerà soprattutto il rock successivo. Chiude il decennio Aux armes et cætera (1979), ennesima provocazione. Influenzato profondamente dalle sonorità reggae e registrato a Kingston con Sly and Robbie e le I Threes, coristi di Bob Marley, l’album fu preceduto dal singolo eponimo, una versione reggae de La Marseillaise che scatenò una bufera di accuse di antipatriottismo e offesa alla Repubblica francese. Le critiche lo colpirono nel profondo e lo spinsero verso una vita sempre più sregolata, all’insegna del consumo di alcol e sigarette, del nottambulismo, dell’incuria (quando non della violenza) nei confronti della famiglia. Questa versione mal rasata, spesso ubriaca, vestita di jeans,

occhiali da sole neri e sigaro in bocca venne presentata dal cantante, in pubblico e nelle sue canzoni, come “Gainsbarre“, suo alter-ego. Nel settembre 1980 Jane Birkin lasciò Gainsbourg, portandosi dietro i figli: «J’aimais Gainsbourg, mais j’avais peure de Gainsbarre». Gainsbarre sarà sempre più presente nelle apparizioni pubbliche degli anni Ottanta, spingendosi spesso ad eccessi ingiustificabili, come le avances sessuali all’allora ventiduenne Whitney Houston, e anche illegali (bruciò una banconota da cinquecento franchi in diretta televisiva, volendo criticare il sistema fiscale). L’immagine da duro che cercava di proiettare, tuttavia, non convinse totalmente il pubblico, ed è facile vedere in questi ultimi anni un uomo e un artista stanco, profondamente triste e in preda alla dipendenza da alcol. Gli anni Ottanta non furono meno prolifici sul piano artistico, dove firmò un duetto con Catherine Deneuve, Dieu fumeur de Havanes (1980), la colonna sonora del suo Charlotte for ever (1986) e i suoi ultimi due album, registrati a New York, Love on the Beat (1984) e You’re Under Arrest (1987), ispirati rispettivamente al funk e all’hip-hop americano. Continuò inoltre a comporre canzoni per Jane Birkin, oltre che per numerose cantanti e attrici (Françoise Hardy, Isabelle Adjani…) e per la nuova compagna, la modella sino-francese Bambou, per cui scrisse l’album Made in China (1989).
I testi degli ultimi due album sono grottescamente sessuali e scavano nella provocazione, con le urla orgasmiche di Bambou in Love on the Beat, il duetto irriverente con la figlia Charlotte in Lemon Incest, o ancora la copertina di Love on the Beat, che vede Gainsbourg pesantemente truccato, quasi in drag. Forse anche per questo furono sostanzialmente fallimentari sul piano commerciale, eppure sono finestre ricche di sperimentazione sugli ultimi anni di uomo irrequieto e talentuoso. A seguito del suo quinto arresto cardiaco, e appena finito di comporre un album blues che avrebbe voluto registrare a New Orleans, Gainsbourg morì nel suo appartamento di Parigi il 2 marzo 1991.
La sua figura è ancora oggi una delle più controverse dello spettacolo francese, anche a ragione del rapporto tumultuoso con le donne (recentemente sono state pubblicate alcune autobiografie di donne, allora minorenni, che sostengono di aver avuto delle relazioni con lui negli anni Ottanta) e delle sue provocazioni continue e sempre più incisive. Molte delle cose che ha detto e fatto nella sua vita sono altamente discutibili e personalmente non penso che debba essere esente da critiche, men che meno preso a modello. Tuttavia, la sua musica è stata una potenza innovatrice e, non temo a dirlo, geniale; i suoi giochi linguistici sempre sarcastici e brillanti, le sue provocazioni che sembrano sfidare l’ascoltatore a trovare il giusto equilibrio morale tra un atteggiamento conservatore, al limite del castrante, e uno debosciato, al limite del patologico; la sua sperimentazione musicale e di genere, mai contenta dei risultati ottenuti, sempre curiosa dei suoni del mondo; tutto ciò costituisce a mio avviso un patrimonio artistico inestimabile, che spero continui ad essere condiviso, ascoltato e discusso a lungo. Spero che questo articolo possa avere incuriosito i suoi lettori, che invito a provare ad entrare nel mondo surrealista e antimorale di Serge Gainsbourg. Forse lo odierete, forse lo amerete. L’importante è che lo ascoltiate.

Per saperne di più:
- Gilles Verlant, Gainsbourg, Éditions Albin Michel, 2000.
- Yves Salgues, Gainsbourg, ou la provocation permanente, Éditions Jean-Claude Lattès, 1989.
- Serge Gainsbourg, Evguénie Sokolov, Éditions Gallimard, 1980, trad. it. Gasogramma, Milano: Isbn Edizioni, 2011.
- Gilles Verlant, Loïc Picaud, L’intégrale Gainsbourg, Éditions Fetjaine, 2011.
- Joann Sfar, Gainsbourg: hors champ, Éditions Dargaud, 2010.
- Gainsbourg, vie héroïque (Joann Sfar, 2010).
- Initials S.G., Spotify Studios (podcast).
- Gainsbourg, l’héritage électronique, Warner Chappell, GUM (podcast).
- Gainsbourg Forever, Europe 1 (podcast).
- Looking for Melody, France Culture (podcast).
- Comme un boomerang, Serge Gainsbourg (album compilation dei più grandi successi).