Le sensazioni, la cultura, la musica: il prog rock italiano
Aaaah, che bello il rock! Chitarre assordanti, testi ribelli e strumenti distrutti sul palco dinanzi a una folla urlante in preda al delirio. A meno che…
Siamo agli inizi degli anni Settanta e in Inghilterra: come sviluppo della stagione psichedelica oramai vicina alla fine, emerge un filone musicale che unisce tutto quanto si era udito fino a quel momento. Dalle radici del rock e dalla psichedelia citati sopra , con contaminazioni che vanno dal jazz alla musica classica, passando per il folk, nasce il progressive rock. Questa denominazione è stata assegnata postuma proprio per riconoscere le intenzioni dei musicisti prog di far “progredire” la musica rock e pop dalla forma canzone a una struttura artistica più compiuta. In meno di un paio d’anni, queste idee attecchiscono anche in Italia, dando vita a una delle stagioni musicali più rosee e prolifiche per il Belpaese. Il fermento giovanile, che, come spiega un articolo sul sito musicale OndaRock, passa spesso e volentieri attraverso la politica (menzionata solo superficialmente in questo articolo: la musica deve unire e non dividere, N.d.A.), porta alla nascita di complessi, come vengono chiamati all’epoca, che si presentano a frotte sul panorama musicale italiano. Purtroppo, non tutti raggiungono il successo meritato, ma ciò non toglie che la maggior parte di essi sia di altissimo livello. Il movimento prog rock italiano si distingue sin da subito da quello inglese: se quest’ultimo apprezza tematiche spesso fiabesche, pur non disdegnando il sapere in senso ampio, il primo lascia molto spazio all’arte che da sempre anima la cultura nostrana, sia nelle composizioni che negli argomenti.
Una delle strutture più gettonate dai musicisti per i loro dischi è quella del concept album: un’intera produzione concentrata su un solo argomento, in modo tale da analizzarlo da più punti di vista, realizzando talvolta vere e proprie disamine che stupiscono per la loro organicità. L’ossatura concettuale è rafforzata dalla grande novità che il progressive introduce nella musica pop e rock: la suite. Con “suite”, s’intende la vera e propria realizzazione del superamento della forma canzone: brani lunghi almeno un quarto d’ora e che considerano alla pari parti cantate e strumentali, molto spesso complementari tra loro.
I temi scelti più spesso per queste opere riguardano la storia, la filosofia, la religione e altri ambiti di alto spessore culturale. Dietro a una moltitudine di questi lavori, si celano in maniera neanche troppo implicita dubbi esistenziali di giovanissimi ragazzi che, forti della loro formazione musicale classica e dell’irruenza tipica dei vent’anni, rendono la musica un mezzo e non il fine per capire di più su se stessi. Per riuscirci, si servono di grandi personaggi che, a loro volta, hanno cercato di fare lo stesso. L’esempio più lampante è Darwin! del Banco del Mutuo Soccorso (sì, i nomi dei gruppi prog sono molto particolari), che si concentra su una concezione esistenziale e psicologica dell’evoluzione umana. Ogni brano è un crescendo di emozioni in cui prima la scimmia e poi l’uomo soffrono nel cercare quelle conquiste che oggi diamo storicamente per scontate, ma che per molti hanno significato fallimenti e, perché no, anche la morte. La traccia di chiusura dell’album, Ed ora domando tempo al Tempo ed egli mi risponde…non ne ho!, è la summa della Storia stessa, in cui l’uomo si rende conto che non potrà affrontare in alcun modo lo scorrere inesorabile dei minuti. La Ruota del Tempo, crudele e irremovibile, porrà fine ai nostri giorni e fermerà il pensiero che Ella stessa ci procura. Proprio in questa pubblicazione, almeno secondo il sottoscritto, è presente la massima complementarietà fra musica e parole. Bastano due esempi: le prime due canzoni dell’album, ovvero L’Evoluzione e La conquista della posizione eretta. Senza bisogno di specificare i temi trattati da entrambe, si noti lo sviluppo compositivo delle stesse: la prima è un crescendo che sfocia in una breve sezione di musica classica che, dopo dieci minuti di musica più aggressiva, può essere interpretata come l’arrivo alla perfezione evolutiva della specie umana, destinata ad autodistruggersi; la seconda si fonda su cinque minuti di violenza strumentale per poi cadere in quella vocale, che ha un sapore amaro… ancora l’uomo non può tenere la schiena ritta.
Come Darwin! riguarda l’umanità intera, anche il grande cantautore Franco Battiato sa portare tematiche simili nei suoi primi album. Non a caso, prima di diventare il cantante dalle complesse canzoni pop che tutti conosciamo, Battiato attraversa una fase in cui le sue composizioni sono intrise di musica elettronica e sperimentale che, grazie alle strumentazioni e alla forma concettuale, sfociano nel prog. Fetus e Pollution sono dei geniali deliri che mettono in guardia le persone dal futuro, ispirandosi in entrambi i casi da Il mondo nuovo di Aldous Huxley, ma ponendo i fattori di rischio su due piani diversi: prima il pericolo che l’uomo, come ogni sua creazione, diventi un essere artefatto, dopodiché le tematiche ambientaliste, prevedendo infauste, ma oramai realistiche, conseguenze. Il pianto che termina il secondo album racchiude l’epopea di entrambi, con un dolore intrinseco, ma oramai strutturale: la fine è incombente e preoccupante.

Altri complessi, invece, hanno ricordato che l’uomo possiede anche una dimensione intima: è il caso della Premiata Forneria Marconi, conosciuta all’estero con l’acronimo PFM. Nel loro disco d’esordio, intitolato Storia di Un Minuto, si mette in luce quanto un uomo possa provare e pensare in una sola giornata, anzi, in un solo minuto. Una turbina di emozioni che, dal risveglio dell’Introduzione, attraversa tantissimi scenari. La presa di coscienza di se stessi e del mondo nella celeberrima Impressioni di Settembre, la gioia di vivere in È Festa, per finire col viaggio fisico e spirituale in La Carrozza di Hans e con la gratitudine di un giorno in più in Grazie Davvero. Insomma, tutte le possibilità e tutti i limiti di un uomo qualunque racchiusi in un solo album. Insieme a loro, anche i Delirium che, in musiche dal sapore ancora legato agli anni Sessanta, pubblicano l’album Dolce Acqua; in esso, la presenza di un giovanissimo Ivano Fossati. Lungo un sentiero acustico, con soste jazz intervallate da salite affievolite con un gradevole flauto, si assiste alla redenzione del protagonista, mediante un viaggio scosceso attraverso le emozioni umane. Il preludio alla Paura è solo il primo passo di un percorso non certo semplice che, prima di spianare, deve conoscere tutto ciò che un inetto può esternare. L’Egoismo, il Dolore e l’Ipocrisia sono tappe necessarie per arrivare alla Libertà e poi alla Speranza. Per uscire, finalmente, dalla tempesta intima ed emotiva che ogni persona sente in sé. Proprio in questo esame di coscienza sotto forma di album, nella canzone Johnnie Sayre (Il perdono), è interessante il riferimento all’Antologia di Spoon River su cui, poco tempo dopo, Fabrizio De Andrè avrebbe basato uno dei punti massimi della sua carriera: Non al denaro non all’amore né al cielo, nel quale gli arrangiamenti ricordano a loro volta il lato più sinfonico del prog.

Resta chiaro, però, che quando le persone rimangono sole e senza aiuti, alcuni sentono legittimamente la necessità di appellarsi a ciò che è trascendente. Come tutte le altre tematiche, anche la religione rappresenta un punto di riferimento per svariati gruppi. Tuttavia, occorre contestualizzare la spiritualità agli anni Settanta, data la sua posizione a dir poco controversa. Da un lato, la controcultura (come già detto, spesso fortemente politicizzata) che sostiene i gruppi prog tende a porre una visione materialista del mondo, cercando talvolta di confutare la sua interpretazione religiosa, alla stregua di quanto si sente all’interno della sopracitata L’Evoluzione del Banco del Mutuo Soccorso. Dall’altro, pochi anni prima, sotto la supervisione dei papi Giovanni XXIII e Paolo VI, si era tenuto il Concilio Vaticano II, il quale aveva aperto la religione al popolo tutto con varie misure mai prese in considerazione prima di allora: in maniera più o meno indiretta, anche i gruppi musicali traggono ispirazione da queste liberalizzazioni, dando vita al fenomeno noto come la “messa beat”, che trova un naturale prolungamento nel progressive rock.
Infatti, come ben segnalato e descritto dall’esperto in materia Fabio Zuffanti su un articolo della rivista Rolling Stone, questa sottocorrente ha una partecipazione ben più numerosa di quanto non traspaia, elencando una serie di gruppi commercialmente poco conosciuti, ma musicalmente rilevanti. Andando a menzionare qualche esempio più famoso, la band Latte e Miele esordisce con l’album Passio Secundum Mattheum, all’interno del quale si narrano le vicende della Passione di Cristo con alcune, seppur sporadiche, citazioni dirette dal Vangelo Secondo Matteo. La fonte d’ispirazione principale della band, in generale, proviene dai quattro Vangeli canonici e si concretizza un risultato musicale di tutto rispetto, multiforme nelle diverse sfaccettature che assume: le composizioni variano da momenti di grandi intensità a tratti più dolci e sinfonici.

De André, ancora una volta, si collega bene ai gruppi prog per le tematiche: anche lui, infatti, qualche anno prima aveva realizzato un concept album di tipo religioso. La Buona Novella, però, si ispirava ai Vangeli apocrifi e narrava di una religiosità umana, anziché di un’umanità religiosa. I personaggi biblici soffrono, si pentono delle loro azioni, vanno incontro a situazioni spiacevoli e, a tratti, tragicomiche. Esistono anche momenti di estrema poeticità, come ne Il Sogno di Maria, in cui l’Annunciazione apocrifa si dimostra molto più dinamica ed evocativa di quella tradizionale. Le atmosfere sono musicalmente suggestive e, nonostante gli arrangiamenti piuttosto asciutti, si sente già qualche avvisaglia degli avvicinamenti che De André avrebbe avuto al progressive nelle due pubblicazioni successive. Sì, in Tutti Morimmo A Stento aveva intrapreso un sinfonismo simile, ma i tempi non erano ancora abbastanza maturi e, difatti, non si trattava altro che di “semplice” barocchismo.
A unire tutte queste tematiche sotto ad una singola opera ci pensano i Metamorfosi con l’album Inferno. Dopo una prima pubblicazione, …E fu il sesto giorno, dai tratti fortemente ed esplicitamente cristiani, si spostano su territori più sinfonici e meno schierati spiritualmente. Com’è facile intuire, si tratta di un disco ispirato all’Inferno di Dante. Si riuniscono, quindi, gli spunti religiosi e letterari in un unico risultato di tutto rispetto. Non finisce qui, inoltre, dato lo sguardo sociale molto ampio e contestualizzato che i Metamorfosi danno a Inferno: fra le varie categorie della Divina Commedia, se ne inseriscono anche alcune tipiche della società contemporanea, come i razzisti, i politicanti e/o gli spacciatori di droga. Tutte le musiche sono colme di cupa drammaticità, a dimostrazione di quanto possa essere angoscioso l’Inferno e di come questo sia a sua volta simile alla società nella quale ci troviamo, proprio come i testi. L’onnipresenza dell’organo, insieme alla molteplicità delle tastiere, richiama con tutta probabilità la religiosità celata dietro l’opera originale che ispira il tutto.
Terminando gli esempi concreti, rimane indubbio che il progressive italiano sia uno degli elementi caratterizzanti del suo periodo storico, in cui la cultura giovanile raggiunge apici mai toccati prima. Ne sono testimonianza i vari festival che sono organizzati negli anni in questione, affollati da gente e complessi volenterosi di ascoltare e fare buona musica, nonché dalla fama che alcuni gruppi stranieri hanno in Italia. Gli stessi Genesis, oggigiorno conosciutissimi, nella loro prima fase prog riscontrano grande successo in Italia e si ritrovano a suonare in piccoli locali in Madrepatria. Innegabile, dunque, che l’Italia rappresenti un punto di riferimento, benché forse subordinata ad altre nazioni, nello scenario musicale internazionale.
Volendo dare all’articolo una forma concettuale come quella delle pubblicazioni qui nominate, non si può non concludere parlando delle sensazioni che la musica in questione è in grado di dare. Ponendo la riflessione su un piano puramente sonoro, allora il progressive non si distacca dagli altri generi, in quanto sono sostanzialmente i gusti degli ascoltatori a creare in loro le reazioni. Certo, le strutture complesse e lunghe tipiche di questo stile portano spesso le persone a prendere una posizione precisa nei suoi confronti, non trovando quasi mai l’approvazione del grande pubblico. Tuttavia, la concettualità e l’elaborazione, sia testuali che musicali, sono caratteristiche abbastanza desuete. Il passaggio da una già insolita musica rock a tessuti di tastiere ora eterei ora elettronici colpisce gli ascoltatori come dei cambiamenti improvvisi tanto dissonanti quanto funzionanti. Possono far loro storcere il naso, anche legittimamente, di fronte a cotanta complessità, o aprire le porte della loro mente a panorami e scenari musicali che mai avevano sentito e toccare delle corde che, dalle orecchie, sono collegate direttamente al cuore. Il battito e il ritmo, allora, saranno connessi in quei momenti che restano indelebili sotto la pelle e nelle sensazioni.