Padri e figli
Perché risulta così difficile scrivere un’introduzione a questo articolo? Perché posso dar voce solo ad una delle due parti prese in analisi, quella dei figli. Mettersi nei panni di un genitore, nelle sue scelte e preoccupazioni, sarebbe presuntuoso e risulterebbe carico di luoghi comuni – facilmente evitabili, dando voce a tre canzoni (ed un film) che adottano, alternativamente, il punto di vista di un padre, di un figlio, e di nuovo di un padre.
La prima canzone è Beautiful Boy (Darling Boy) di John Lennon, del 1980. Questo brano appartiene all’album Double Fantasy, che è anche l’ultimo di Lennon e Yoko Ono, prima della morte di Lennon.
John Lennon, che dallo scioglimento dei Beatles nel 1970 si era concentrato sulla sua carriera da solista (ritirandosi dalle scene nel 1975), dedicò questa canzone al figlio Sean. Padre e figlio, nati nello stesso giorno, il 9 ottobre, sembrano possedere un legame estremamente forte, che caratterizzerà i soli cinque anni che vivranno insieme. Lennon verrà infatti ucciso da Mark David Chapman meno di un mese dopo la pubblicazione del brano.
È importante anche ricordare che Sean aveva un fratellastro, il primogenito Julian Lennon (nato dall’unione con Cynthia Powell), per il quale Lennon non fu mai presente.
Tornando a Beautiful Boy, questa canzone può essere intesa come una ninna nanna confortante, “Close your eyes Have no fear The monster’s gone, he’s on the run And your daddy is here”. Lennon conforta il figlio; ogni giorno andrà sempre meglio, gli dice.
Il bridge della canzone è la parte più ironicamente amara: John dice a suo figlio che non vede l’ora di vederlo crescere, anche se ci vorrà del tempo, “I can hardly wait To see you come of age But I guess we’ll both Just have to be patient Cause it’s a long way to go”. Morendo tragicamente, Lennon non avrà il tempo di vedere suo figlio diventare adulto.
Lennon prosegue, chiedendo a Sean di prendergli la mano per attraversare la strada: questo forse un riferimento a come voglia evitare che suo figlio segua il destino di Julia Stanley, madre di John, che morì in un tragico incidente stradale, perché, citando lo scrittore e fumettista Allen Saunders “Life is what happens to you While you’re busy making other plans”.
Così si scivola nuovamente nel ritornello, dolcissimo ed orecchiabile.
In chiusura Lennon, interpellando direttamente Sean, gli augura buona notte. Si rivedranno presto, la mattina dopo, “Goodnight Sean See you in the morning Bright and early”. Il suono delle onde del mare affievolisce le voci in sottofondo e la musica, e noi ci ritroviamo ad asciugare le lacrime.
Nominando Beautiful Boy, è doveroso citare anche l’omonimo film del 2018. Tratto da una storia vera, racconta la storia di David (Steve Carell) e Nicholas Sheff (Timothée Chalamet), padre e figlio profondamente legati, e del loro rapporto minato dalla tossicodipendenza di quest’ultimo. Beautiful Boy racconta la straziante ed inesauribile volontà di non lasciarsi allontanare dalla dipendenza, di ritrovarsi e trovare una strada che possa guarire il dolore di uno e dell’altro.
Il secondo brano non è altro che il capolavoro di Cat Stevens, Father & Son, dall’album Tea for the Tillerman, del 1970.
Inizialmente il brano era stato pensato per appartenere ad un musical, Revolussia, ambientato, appunto, durante la Rivoluzione russa. Esso doveva parlare di un ragazzo che, unitosi ai movimenti rivoluzionari, andava contro il volere del padre. Il musical alla fine non venne prodotto, ma la canzone fu ugualmente pubblicata.
In questo caso, Cat Stevens interpreta le parole di entrambe le parti: la voce più controllata, bassa, di un padre che invita suo figlio -voce squillante, meno controllata- ad ascoltare le sue parole, i suoi consigli, a riflettere. Ed è proprio così che comincia la canzone: “It’s not time to make a change Just relax, take it easy”.
Il padre si rivolge al figlio, tentando di trasmettergli l’empatia, l’immedesimazione e la comprensione che prova nell’osservarlo affrontare le difficoltà che hanno caratterizzato anche la sua di giovinezza: “I was once like you are now And I know that it’s not easy To be calm When you’ve found something going on”. Ma a che cosa si sta riferendo Cat Stevens in questo testo? Alle turbolenze storiche degli anni 70, dalla guerra in Vietnam ai movimenti per i diritti civili, e alla volontà di prendere parte agli stravolgimenti dell’epoca che accendono gli animi dei ragazzi, facendoli sentire parte di qualcosa più grande di loro.
Il secondo verso fa spazio alla risposta del figlio, frustrato da un atteggiamento spesso lamentato nelle dinamiche familiari: l’incontestabile saggezza materna o paterna e l’obbedienza, il rispetto e la riflessione ai quali devono attenersi i figli. Questo sentimento, e la necessità di essere ascoltati, sono trasmessi con un tono di voce più acuto, elevato ed impulsivo “From the moment I could talk I was ordered to listen”, ed è proprio questa insoddisfazione ad accrescere il bisogno del figlio di lasciare la propria famiglia.
Gli ultimi due versi vedono la concomitanza delle voci del figlio e del padre, che prevalgono alternativamente, accompagnati dall’eco di uno o dell’altro. In questi versi vengono ribadite le rispettive posizioni: la necessità di un figlio di intraprendere un percorso, di imboccare una strada percepita come quella adeguata, nonostante essa non corrisponda al volere di un padre, che, da parte sua, desidera tenere suo figlio al sicuro, tenerlo vicino a sé ancora un istante.
Particolarmente emozionanti ed espressivi sono gli echi: quelli del figlio, che rivendicano il bisogno di andare via, da solo “Away, away, away” “Alone” “No”; quelli del padre, che non si capacita delle scelte del figlio, faticando a lasciarlo andare, “Stay, stay, stay” “Why must you go”.
Per concludere, facendo riferimento ad un terzo testo, anche Eric Clapton, nel 1991, si è cimentato nella scrittura di una ballata dedicata al figlio, Tears in Heaven, realizzata insieme al cantautore Will Jennings.
Il brano, di una delicatezza e sofferenza disarmante, è stato concepito a seguito della scomparsa di Conor Clapton, nato dall’unione dell’artista con Lory Del Santo, tragicamente deceduto dopo essere precipitato dal 53° piano di un palazzo a New York, a soli quattro anni.
I primi due versi appaiono divisi in due parti: la prima è caratterizzata da domande laceranti, lasciate volutamente aperte, la seconda è invece costituita dal tentativo di Clapton di infondersi coraggio, di ricordarsi di avere il dovere di continuare a vivere, malgrado il lutto.
Il primo verso potrebbe di per sé racchiudere tutta la disperazione della perdita di un figlio: “Would you know my name if I saw you in heaven?”, potrà mai un bimbo così piccolo, deceduto improvvisamente, ricordarsi di un padre che non è riuscito a vivere abbastanza tempo con il proprio figlio? Sarà mai possibile guarire da una ferita del genere? Non ci è dato saperlo, Clapton sembra quasi cantare a sé stesso, “I must be strong and carry on, ‘Cause I know I don’t belong Here in heaven”.
Il secondo verso presenta la stessa struttura del precedente, due domande prive di risposta “Would you hold my hand if I saw you in heaven? Would you help me stand if I saw you in Heaven?” e la volontà dell’artista di trovare un modo per sopravvivere al dolore, cercando di perdonare sé stesso per non aver avuto la possibilità di salvare il figlio.
Nel terzo verso, Clapton fa riferimento alle porte del paradiso: al di là di esse, dice, sa che ci sarà finalmente pace, non ci saranno più lacrime in paradiso (da qui, il titolo Tears in Heaven).
Con un ultimo verso addolorato, che riprende il primo, Clapton conclude la sua canzone, uno dei più commoventi e condivisi inni al superamento ed elaborazione del dolore. Oggi, Eric Clapton non suona più Tears in Heaven durante i suoi concerti, nonostante essa sia considerata una delle sue canzoni più belle. C’è chi dice che l’artista preferisca ora commemorare suo figlio privatamente, chi sostiene che il brano riporti Clapton ad un periodo eccessivamente straziante per l’artista, il quale sembra aver, per quanto possibile, elaborato il lutto; e c’è anche chi pensa che Clapton non lo esegua più live in quanto la profondità e l’intensità del brano, durante l’esibizione, non sarebbero più le stesse del momento in cui la compose.
Di una cosa possiamo essere certi: poco importa la datazione o la popolarità attuale, canzoni come Tears in Heaven, Father & Son e Beautiful Boy continueranno a risuonare di generazione in generazione, di padre in figlio.
di Clara Femia
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