Nessuno spara al messaggero
Il proverbio “Ambasciator non porta pena” fu coniato da Erasmo da Rotterdam. Il suo significato risiede nel fatto che nessuna colpa è addossabile a colui che annuncia spiacevoli notizie per conto di terzi. Storicamente, infatti, ad ambasciatori e messaggeri, i cosiddetti “legati” dell’antica Roma, che spesso comunicavano e confermavano spiacevoli sconfitte, veniva garantita l’immunità.
Eccezioni a questo proverbio sono sempre esistite, ma per l’Irlanda una è più difficile da dimenticare delle altre. Ciò a cui faccio riferimento è la vicenda di Veronica Guerin, giornalista investigativa nata a Dublino nel 1959, che venne assassinata nel corso delle sue indagini per un’inchiesta sul narcotraffico irlandese.
Era il 1994 e l’Irlanda deteneva il primato per il consumo di droga. Fino a due anni prima, la Guerin non si era mai occupata di criminalità organizzata: le sue esclusive riguardavano principalmente finanza e politica e, proprio con queste, si era guadagnata una cospicua dose di fama nel mondo del giornalismo.
Quello che per lei segnò un punto di svolta fu l’essere testimone delle condizioni in cui versavano migliaia di ragazzini tossicodipendenti nelle periferie, specialmente in quelle di Dublino, Cork e Limerick. Giovani che spesso, con il tempo, diventavano essi stessi spacciatori di ecstasy, cocaina ed eroina per potersi permettere quelle due o tre dosi in più.
Veronica Guerin era anche mamma di un bambino, Cathal, che aveva da poco iniziato a frequentare la scuola elementare e si fece paladina della questione anche per poter assicurare al figlio un futuro in cui cadere nella morsa della droga a tredici, quattordici o quindici anni non fosse così facile come lo era a metà degli anni ’90.
Era da poco arrivata al Sunday Independent quando iniziò ad occuparsi di narcotraffico, e lo fece con una resilienza che la accompagnò fino al momento della sua morte. Veronica instaurò una rete di informatori nel sottobosco criminale irlandese, ma il suo contatto principale fu John Traynor, detto “il coach”, criminale che aveva scontato pene per riciclaggio di denaro e traffico di stupefacenti, nonché uno dei principali sospettati come mandante dell’omicidio su commissione che vide la Guerin uccisa con sei colpi di arma da fuoco.
A causa delle leggi sulla diffamazione, tutt’ora in vigore in Irlanda, la giornalista era tenuta a non fare nomi quando nei suoi articoli si riferiva ai boss del narcotraffico, ma ciò non le impediva di mettere in prima pagina i loro volti, accompagnati dalle cifre precise dei loro smisurati profitti. Infatti, mostrò come il valore della merce, dopo aver intrapreso diverse rotte all’interno del Paese, arrivava spesso anche a triplicare.
Scriveva di come la sicurezza degli abitanti fosse minacciata dall’evasione dalle carceri irlandesi di numerosi criminali, che poi finivano inevitabilmente nella stretta del traffico di stupefacenti.
Le minacce nei suoi confronti non tardarono ad arrivare. A partire dall’ottobre 1994, Veronica Guerin e la sua famiglia subirono diversi attacchi, tra cui uno in cui vennero sparati dei colpi di pistola contro la loro abitazione e un altro in cui la giornalista venne gambizzata sull’uscio di casa, un cottage nella periferia di Dublino nord.
Questi eventi portarono la testata per la quale lavorava ad installare un sistema di sicurezza in sua protezione. Per un breve periodo venne infatti scortata dalla polizia irlandese ventiquattr’ore su ventiquattro; tuttavia, la Guerin era convinta che queste misure non le consentissero di svolgere a pieno il suo lavoro e che la scorta fosse d’ostacolo alle indagini per l’inchiesta.
Il 26 giugno 1996, circa dieci giorni prima del suo trentasettesimo compleanno, Veronica Guerin fu assassinata da due sicari mentre era nella sua auto, ferma al semaforo di una delle strade principali della contea di Kildare. Sei colpi di pistola furono sparati da una motocicletta con a bordo due uomini, uno dei quali, l’esecutore, fu successivamente arrestato e condannato all’ergastolo.
Veronica aveva a cuore la verità. Denunciare ciò che veniva a galla durante le sue indagini era diventato il suo scopo ultimo e, da assidua frequentatrice della chiesa dell’aeroporto di Dublino, era convinta fosse il fine per il quale Dio le aveva donato la vita. Quello stesso scopo, purtroppo, fu anche ciò che gliela tolse.
Era consapevole di star rischiando molto, ma la sua passione per la verità l’aveva resa quasi cieca ed era convinta del fatto che non ci si potesse accanire contro una reporter tanto da farle fisicamente del male. Veronica Guerin non si sarebbe mai immaginata che il suo lavoro l’avrebbe potuta portare via per sempre dalla sua famiglia.
Veronica Guerin con la sua famiglia (fonte: Sunday Independent)
Il primo luglio 1996, tutta l’Irlanda si fermò per un minuto in suo ricordo. I cittadini, particolarmente scossi dall’omicidio di una giornalista che stava tentando di rendere il loro Paese un posto migliore attraverso il suo lavoro, depositarono migliaia di mazzi di fiori per tutta la città e nel luogo dell’omicidio.
La sua memoria continua a vivere ancora oggi: nei giardini Dubh Linn, a Dublino, si trova un busto alla memoria di Veronica che recita: “Be not afraid. Greater justice was her ideal and it was her ultimate achievement. Her courage and sacrifice saved many from the scourge of drugs and other crime. Her death has not been in vain” (“Non avere paura. Maggiore giustizia era il suo ideale e la sua conquista ultima. Il suo coraggio e il suo sacrificio hanno salvato molti dal flagello delle droghe e di altri crimini. La sua morte non è stata invano”).
Una morte invano, certo, non appartiene al vocabolario della giornalista protagonista di questo articolo: a pochi giorni dalla sua scomparsa, il parlamento irlandese promulgò il Proceeds of Crime Act 1996 e il Criminal Assets Bureau Act 1996, che resero i beni acquistati con denaro proveniente da attività criminali sequestrabili dallo Stato.
Nel 2000 l’International Press Institute la nominò uno dei cinquanta eroi della libertà di stampa nel mondo e, a partire dal 2007, la Dublin City University assegna ogni anno ad un meritevole studente di giornalismo investigativo una borsa di studio che porta il nome della Guerin.
Questa vicenda ha inoltre ispirato due registi: John Mackenzie e Joel Schumacher, che hanno rispettivamente girato When the sky falls (2000) e Veronica Guerin – Il prezzo del coraggio (2003), film tratti dalla storia della giornalista che l’Irlanda faticherà a dimenticare e che ha ispirato molti suoi colleghi, che le sono succeduti negli anni, a portare avanti inchieste sul narcotraffico.
La perseveranza che il suo Paese natale ha dimostrato nel ricordare Veronica Guerin e i suoi eroici sforzi che hanno portato alla luce scomode verità, delle quali anche i più abili giornalisti a lei contemporanei avevano paura di parlare, ci insegna che le battaglie verso la verità non si sono mai fermate e sono tutt’ora in atto.
Se è vero che i mezzi di informazione sono il cane da guardia della democrazia, dobbiamo garantire loro una libertà di agire tale che nessuno spari più al messaggero.
di Alice Borghi
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