Sono sempre i sogni a dare forma al mondo
Calpurnia come Cassandra
15 marzo 44 a.C, ore sette del mattino. Come immaginereste la notte prima di un omicidio? Io cupa, la pioggia battente, un vento forte, tuoni, lampi e anche una grandinata fuori stagione. Una notte che presagisce una sventura. Quella mattina, alla Domus Publica di Roma, Caio Giulio Cesare sta finendo di prepararsi dopo colazione con l’aiuto degli schiavi, per recarsi al Senato convocato a mezzogiorno. In un angolo della stessa stanza siede una donna in silenzio, cupa, come le trame della notte precedente, quasi ne fosse il riflesso. È Calpurnia, la quarta e ultima moglie di Cesare, una donna che aveva vissuto come la sua ombra, fedele nonostante un gravoso peso sulle spalle: la presenza di un’altra donna di cui Cesare si era davvero innamorato, Cleopatra. Finita la vestizione, Calpurnia in tutta fretta riprende il discorso interrotto all’ingresso degli schiavi nella stanza:
«Ho avuto degli incubi terribili, premonizioni inquietanti: prima la tua statua in pezzi, poi ho sognato che ti tenevo fra le braccia, ferito, morente… non andare, ti prego. Non uscire di casa».1
Con la stessa fretta Cesare le risponde, lapidario:
«Ascoltami, Calpurnia: sei una donna colta e intelligente. Non puoi credere ai sogni. Sono soltanto le conseguenze delle nostre angosce diurne, delle nostre paure o dei nostri desideri. Il sogno ci presenta ciò che già abbiamo vissuto, non quello che dovremo ancora vivere. Sai perché hai fatto quei sogni? Perché presti orecchio a certe dicerie e perché io stesso ho avuto la brutta idea di parlarti di Spurinna e del suo vaticinio. Ecco tutto».2
In quell’ecco tutto è racchiusa la poca considerazione che Cesare aveva di Calpurnia. La preghiera della donna, per lui, era solo un delirio basato su dicerie infondate. Dunque, Cesare sembra di primo acchito irremovibile, ma dopo un dialogo serrato, cosparso di lacrime amare, Calpurnia sembra quasi averlo convinto a rimanere a casa, quel giorno, complice anche la sua precaria salute. Ma quando Cesare si accinge a far comunicare questa decisione al Senato tramite il messo Decimo, costui gli ricorda i suoi doveri nei confronti della res publica, degli affari di Stato, facendo leva sulla vergogna che avrebbe sicuramente provato l’indomani al Senato. A queste parole, tutte le promesse a Calpurnia vengono meno, e l’arrivo in Senato segnerà non solo la morte di Cesare, pugnalato dai traditori coinvolti nella nota congiura, ma anche la fine di uno dei momenti di attrito più forti della Repubblica. Questa scena viene raccontata, con toni fin troppo romanzati e romantici, da Valerio Massimo Manfredi nel suo celebre romanzo Idi di Marzo (2008), che narra appunto gli otto giorni di fervore politico che precedono la congiura contro Cesare. A prescindere da Manfredi, a cui si attribuisce il merito di avere “commercializzato” la storia greca e romana rendendola un prodotto “alla portata di tutti”, molte altre fonti riportano il monito di Calpurnia a Cesare, di cui parlerò fra poco.
Soffermandosi ancora un attimo su questa scena si può notare che l’autore dedica una spazio eccessivo alla descrizione di un uso, quello della vestizione, e pochissime parole alla previsione, per giunta limitata a un dialogo, facendo così apparire Calpurnia come l’ennesima matrona virtuosa piangente irrazionale e visionaria, soggiogata a dinamiche di subordinazione cui doveva sottostare. Inoltre, sembrano troppo attuali per un uomo del suo tempo. È evidente che Cesare non potesse avere quel punto di vista sui sogni, dato che certamente non aveva letto Freud. Quello che Manfredi fa passare come un saggio pensiero del dictator vitae, infatti, non è altro che la narrativizzazione della teoria dell’inconscio, su cui si fonda appunto la psicanalisi freudiana.
Tornando ora al sogno di Calpurnia, si incorre in un fenomeno interessante, riconducibile al pensiero foucaultiano. Infatti Michel Foucault, uno dei più importanti filosofi e critici che il secolo scorso abbia avuto, nel terzo volume della Cura del sé. Storia della sessualità 3 (1984), analizzando approfonditamente l’opera del filosofo greco Artemidoro di Daldi intitolata Il libro dei sogni, definirebbe questo sogno teorematico, ovvero uno di quelli che «[…] traducono avvenimenti a venire», di cui «[…] alcuni rappresentano direttamente, mostrandolo nella sua stessa immagine, ciò che esiste iscritto nel futuro[…]»3. In secondo luogo, sempre seguendo le definizioni di Foucault, il sogno di Calpurnia potrebbe anche essere ricondotto alla categoria dei sogni allegorici, dove «[…] il rapporto dell’immagine con l’evento è indiretto»4. Riassumendo brevemente l’esempio proposto dal filosofo, prendiamo il caso di una persona che ha sognato una nave in naufragio. Se la persona che sta sognando è imbarcata su una nave, il sogno è teorematico, in quanto sta immaginando un possibile esito della navigazione. Se la persona invece non è un marinaio, bensì uno schiavo, quell’immagine può essere la rappresentazione onirica di un desiderio inconscio in procinto di realizzarsi, ad esempio l’affrancamento dalla condizione di schiavitù. A conclusione del suo discorso, Foucault si chiede chiaramente: «come riconoscere se si è trattato di una visione onirica che traduceva lo stato del momento o piuttosto di un sogno annunciatore di eventi?»5.
Richiamando la Vita di Cesare nelle Vite parallele di Plutarco, il biografo scrive che Calpurnia quella notte emetteva forti lamenti nel sonno, questo perché sognando aveva avuto l’impressione che la statua di Cesare sul cornicione della loro casa fosse caduta al suolo per il violento temporale in corso, andando in mille pezzi (Plutarco, Caes., 63, 5). Nella versione di Svetonio nella Vita Caesaris, invece, Calpurnia aveva sognato Cesare morente tra le sue braccia (Svet., Iul., 81). Pertanto, usando le categorie di Foucault, in Plutarco la visione avrebbe un tono teorematico, mentre in Svetonio sembrerebbe un sogno allegorico premonitore. A confermare questa teoria, Svetonio sottolinea anche che, la stessa notte, anche Cesare ebbe una sorta di sogno premonitore, che lo vedeva ascendere al cielo, al di sopra delle nuvole, per stringere la mano di Giove. La domanda sorge quindi spontanea: a chi credere? E soprattutto: Calpurnia era davvero folle o può avere avuto seriamente un sogno premonitore? La prospettiva razionalistica contemporanea suggerisce che Calpurnia non fosse folle e che la premonizione potesse aver avuto luogo soltanto a causa di una comprensibile apprensione per la sorte del marito. Il sogno di Calpurnia rimane avvolto da un alone di mistero che attira molti studiosi e studiose. Tra le ipotesi più convincenti, si sostiene che Calpurnia potesse aver avuto alcune informazioni sulla congiura e avesse usato il sogno come pretesto per dissuadere Cesare dalle sue intenzioni. C’è da aggiungere anche che, a supporto di questa ipotesi, sempre nella versione raccontata da Plutarco, Calpurnia invita Cesare a consultare il vaticino di altri oracoli, come Spurinna, consapevole che la parola di una donna da sola non sarebbe bastata a convincere l’uomo più potente della Repubblica. Lo dice anche Cesare: Calpurnia era una donna intelligente, e forse lei stessa era consapevole degli intrighi di potere che venivano tessuti alle spalle del marito. Altrimenti, quale motivo avrebbe avuto per invitarlo a consultare gli oracoli se non quello di metterlo in guardia?
Da questa domanda si avvia il lavoro della scrittrice emergente Sonia Morganti, Calpurnia, l’ombra di Cesare (2015), opera che si propone di raccontare la vita di questa donna quasi cancellata dalla Storia. Si tratta di un destino tristemente comune, come ho già mostrato altre volte, da cui nemmeno Calpurnia forse si salverebbe se non fosse per questo sogno, a cui anche Shakespeare dedica un cammeo nella Scena Due dell’Atto II del Giulio Cesare, dove sembra accettare la raffigura della donna informata dei fatti e razionalmente preoccupata:
CALPURNIA: Cesare, non ho mai dato retta ai presagi, ma ora mi spaventano. Oltre le cose che abbiamo udito e visto, in casa c’è qualcuno che riferisce di scene orrende viste dalle guardie. Una leonessa ha partorito per le strade, tombe si sono spalancate e hanno restituito i loro morti […] Oh, Cesare, queste cose sono al di là dell’usuale e io ho paura.6
Che sia stato davvero un sogno premonitore o l’intento, con scarso successo, di salvare la vita a suo marito, è ancora un mistero. Ad ogni modo, si può pacificamente constatare che Calpurnia, novella Cassandra, non è stata ascoltata a causa del pensiero diffuso che vedeva le donne come creature irrazionali, incapaci di controllare le passioni. Se è vero che faber est suae quisque fortunae, ovvero «ciascuno è artefice del proprio destino», mi sento di dire che se Cesare avesse dato retta anche solo ai vaticini degli oracoli, forse si sarebbe salvato la vita.
Almeno per quella volta.
Bibliografia
- Manfredi, V., M., Idi di Marzo, Milano, Mondadori, 2008, p. 254
- Ibidem, p. 254
- Foucault, M., La cura del sé. Storia della sessualità 3, Milano, Feltrinelli, 1984 (XV ed.), p. 17
- Ibidem, p. 17
- Ibidem, p. 17
- Shakespeare, W., Giulio Cesare, trad. di Agostino Lombardo, Milano, Feltrinelli, 2014, p. 85
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