Salsicce, fantasmi e Brigate Rosse
Gradoli (VT)
Percorrendo la strada statale SS2 via Cassia che da Roma porta a Firenze, al chilometro 119, poco dopo l’odierna svolta a sinistra per il camping Mario, c’è il bivio per il paese di Gradoli, piccolo centro di nemmeno duemila anime vicino al lago di Bolsena. Proviamo a estraniarci dal clima automatico, cruise adattivo e radio bluetooth delle auto moderne. Fingiamo per qualche minuto di essere su una vecchia Alfa Romeo Alfetta duemila a doppio carburatore, niente cinture di sicurezza, in sottofondo un assuefacente gracchiare di radio e una sirena stordente che accompagna perpetua il nostro viaggio. Il finestrino leggermente abbassato. Siamo Carabinieri, veniamo da Tuscania, una trentina di chilometri a Sud, con noi, nelle stesse Alfette, la Pubblica Sicurezza (oggi nota come Polizia di Stato).Abbiamo un obiettivo comune: stanare le Brigate Rosse. Chi ci manda? Un fantasma e delle salsicce. Gli ordini sono chiari: perquisire tutte le cascine e i fabbricati isolati di Gradoli, dalla Cantoniera di Latera fino a laggiù, dove finiscono i casali del paese. Quanti siamo? 22 in tutto, compreso un uomo dell’ufficio investigazioni speciali, e tutti quanti sotto il comando del nostro tenente e del signor vice questore, il dr. Fabrizio Arelli.
«Arelli a charlie3: novità?» «Negativo Dottore, qui charlie3, obiettivo non rilevato. Proseguiamo nelle perquisizioni.»
1978: l’anno dei tre papi, l’anno del sequestro del Presidente della DC. È il 6 aprile, ma è dal 16 marzo che il nostro mondo è cambiato: blocchi stradali, soffiate e perquisizioni. Da quando le Brigate Rosse hanno preso Aldo Moro la nostra routine è cambiata: lavoro, lavoro, lavoro. Soffiate di qui,soffiate di là, ogni giorno perquisizioni per scovare le bestie comuniste. Stavolta no, stavolta è diverso: l’indicazione che Aldo Moro è recluso a Gradoli arriva direttamente dal Viminale. Nessuno stronzo civile di mezzo, nessuno in cerca di notorietà o in preda a cattivi ricordi. A colpo sicuro, nei secoli fedele. Seguiamo la Strada Statale 74 che taglia tutti i quattro chilometri quadrati di ricerche, iniziamo per le 11.30 e alle 13 era già tutto finito. Un buco nell’acqua.
Breve contesto
Un buco nell’acqua. Esattamente come lo sono stati i 6 413 713 controlli a persone durante i 55 giorni di prigionia Moro eseguiti sul territorio nazionale dalle forze dell’ordine. L’enorme numero è sintomo della strategia con cui la pubblica autorità, il Ministro dell’Interno in primis, sperava di trovare Moro: una pesca a strascico, e pure mal fatta. Ad esempio, quando il 3 aprile il corpo di Pubblica Sicurezza si trovò di fronte il brigatista Bruno Seghetti, lo rilasciò, senza alcuna accusa e alcun tipo di sorveglianza nei suoi confronti. In un simile contesto di, a usar parole gentili, sciatteria operativa, le infinite segnalazioni “Moro è qui, Moro è qui” a mo’ pubblicità the Infrè intasavano le questure d’Italia ed erano più d’impiccio che d’aiuto. Però, il giorno prima della perquisizione di Gradoli, il 5 aprile, una di esse viene presa a cuore dai massimi vertici della Pubblica Sicurezza. Luigi Zanda, segretario del Ministro degli Interni Francesco Cossiga, informa il capo della Polizia, prefetto Giuseppe Parlato, di due possibili luoghi di detenzione di Aldo Moro: il primo in una precisa abitazione di Milano; il secondo, più vago, porta alle campagne di Gradoli.
Fantasmi e Salsicce
Il dottor Parlato fa immediatamente partire la catena di comando che porterà, il giorno seguente, a compiere le due perquisizioni, entrambe infruttuose. Parliamo della seconda, quella a Gradoli. Chi dà a Zanda l’informazione sull’ubicazione di Moro? Il dottor Umberto Cavina, capo dell’ufficio stampa della Democrazia Cristiana, che il giorno prima, martedì 4 settembre, in Piazza del Gesù a Roma, sede della DC, è raggiunto da un professore dell’Università di Bologna: Romano Prodi, futuro Ministro e Presidente del Consiglio. Durante il colloquio, Prodi comunica la possibile locazione di Moro, però, come dirà Cavina successivamente, “manifestò un certo imbarazzo nel riferire la notizia, perché, come mi disse, era il risultato di una seduta spiritica”. L’informazione che avrebbe potuto salvare Moro e cambiare la storia dell’intero blocco NATO è il frutto del passatempo domenicale di un gruppo di dodici amici a Zappolino (BO) che, nel pomeriggio di un piovoso 2 aprile, mentre i figli giocano per casa e in sottofondo sfrigolano salsicce, invocano gli spiriti di Giorgio La Pira e Don Luigi Sturzo, i quali, muovendo freneticamente un piattino su di un cartone 80x80cm, compongono la parola “Gradoli”! Gli amici controllano sulle carte del Touring Club e vedono che questo “Gradoli” esiste, non è una località inventata. Pertanto informano sia il Ministero che la DIGOS di Bologna. Gli spiriti han parlato, quindi perché negarsi una gita al lago?
Fantasmi e Servizi
Un buon motivo per evitare la scampagnata sarebbe che Roma è chiusa da posti di blocco, difficilmente Moro sarebbe potuto uscire inosservato. Se la Polizia avesse cercato in via Gradoli 96 a Roma, Moro si sarebbe salvato: lì c’era il covo romano dei brigatisti Valerio Morucci e Barbara Balzerani, i carcerieri di Moro. Infatti Eleonora Moro, moglie di Aldo, informata dell’imminente perquisizione a Gradoli chiese alla Polizia se a Roma, per caso, non vi fosse una via Gradoli: “assolutamente no, signora”, questa la risposta che ricevette. Peccato che, non solo via Gradoli risultasse sulle pagine gialle, ma, soprattutto, la Polizia, in via Gradoli 96 a Roma, c’era già stata il 18 marzo, due giorni dopo il sequestro! Quel sabato quattro agenti del Commissariato di PS Flaminio, il brigadiere Domenico Merola, il vice brigadiere Ferdinando Di Spirito, l’appuntato Vincenzo Colucci, l’appuntato Domenico Firmani e la guardia Michele Di Muccio si presentarono al 96 di via Gradoli per svolgere delle ordinarie perquisizioni su disposizione della Direzione generale di PS. Giunti all’interno 11, il covo di Morucci e Balzerani, bussano senza ottenere risposta. Ad applicare fedelmente le disposizioni avrebbero dovuto abbattere la porta, perquisire, e poi piantonare l’appartamento fino all’arrivo di un inquilino per evitare incursioni dei ladri. L’attuazione del protocollo, però, risultava di fatto non praticabile: la carenza di personale e l’elevato numero di appartamenti da piantonare non sarebbero stati conciliabili. Non ricevendo risposta, proseguono oltre, solo raccogliendo la testimonianza della signora Lucia Mokbel dell’interno 9, che lamentava rumori sospetti. Tale segnalazione, verbalizzata ai superiori, non ebbe alcun seguito. Stesso posto, un mese dopo. I Vigili del Fuoco sfondano la porta perché l’inquilino del piano di sotto lamentava una copiosa perdita d’acqua dall’appartamento soprastante: il bagno è allagato e il soffione della vasca è aperto, con il getto puntato proprio in corrispondenza di una crepa nella parete È evidente l’obiettivo di creare un’infiltrazione che richiami l’attenzione verso l’interno 11. Mentre Polizia, Carabinieri, giornalisti abboccano al falso comunicato della morte di Moro preparato da ambienti legati al SISMI (Servizio per le informazioni e la sicurezza militare) e affollano il lago della Duchessa, all’ombra del clamore, in via Gradoli 96 sono rinvenuti armi e documenti di ogni tipo. Il covo salta, ma di Moretti e di Balzerani nessuna traccia.
Agli atti della commissione parlamentare d’inchiesta sul Dossier Mitrokhin, sono riportate le tesi del settimanale Avvenimenti che riporta come Luciana Bozzi, amica di Giuliana Conforto, figlia di Giorgio Conforto, alias agente “Dario”, avesse affittato l’appartamento a Morucci e Adriana Faranda. Ciò, se effettivamente vero, sarebbe una connessione diretta tra i servizi di intelligence operanti sul territorio e il direttivo romano delle Brigate Rosse. Altrettanto interessanti risultano essere le dichiarazioni di Francesco Cossiga, Ministro degli Interni dell’epoca e futuro Presidente della Repubblica, che sostiene come negli ambienti di Autonomia Operaia circolassero delle voci che Moro fosse a Gradoli (VT). Le dichiarazioni di Cossiga, Avvenimenti, le modalità di ritrovamento del covo romano, il non expedit nell’approfondire la denuncia della signora Mokbel, la lettura dei verbali di servizio del 18 marzo (o quello che ne resta); ciò e molto altro, unito al fatto che, in quel pomeriggio di grigliate a base di salsicce nella ridente Zappolino le parole uscite furono: “Bolsena” “VT” “Gradoli”, e non semplicemente “Gradoli” porta a una sola logica conclusione. Appurato che il movimento di sinistra extraparlamentare Autonomia Operaia avesse séguito all’interno dell’Università di Bologna e che i 12 commensali fossero tutti professori di quell’Ateneo o loro familiari stretti, è probabile che uno di essi, direttamente o indirettamente, fosse venuto a sentire delle voci su Gradoli. La loro diffusione all’interno del movimento sarebbe attribuibile ai numerosi infiltrati dei servizi di intelligence che hanno opportunamente fatto circolare la notizia che Moro fosse a Gradoli (VT), nella speranza che qualcuno la facesse pervenire alle autorità di polizia. La trovata della seduta spiritica era una messinscena per coprire la fonte reale; fondamentale era che uscisse il nome Gradoli e che si andasse a Viterbo, non a Roma. L’obiettivo della sovrastruttura che governava il caso Moro era mandare un messaggio a Morucci, non farlo arrestare: “possiamo bruciarti quando vogliamo, fai presto ad ammazzare Moro”. Si tenga presente che, come dimostrato da molti episodi come, ad esempio, il cosiddetto memoriale Morucci-Faranda, i legami che Morucci avrebbe avuto con i servizi italiani e/o stranieri sono ben più che ventilate ipotesi. Vale lo stesso per l’episodio del 18 aprile, il SISMI diffonde un finto comunicato annunciante la morte dello statista e il covo di via Gradoli è bruciato. Ergo, Fate presto ad ammazzare Moro.
Ecco che da questo gioco di fantasmi, i fantasiosi spiriti di Sturzo e La Pira escono sconfitti dallo scontro con i veri fantasmi dei palazzi romani, abilissimi a spostare il piattino non sulle lettere della verità ma su quelle della nebbia e della menzogna. Chissà se alle 09:00 del 16 marzo anche il colonnello Guglielmi stava grigliando salsicce.
Possibile che siate tutti d’accordo nel volere la mia morte per una presunta ragion di Stato che qualcuno lividamente vi suggerisce, quasi a soluzione di tutti i problemi del Paese?
– Aldo Moro
22 aprile 1978, lettera a Benigno Zaccagnini
p. 11 →
← p. 9