Fiabe del focolare
Tuttə, o quasi tuttə, conoscono alcune delle più famose fiabe dei fratelli Grimm (Cenerentola, Biancaneve, Barbablù, Raperonzolo e tante altre), ma pochi conoscono la loro origine. La maggior parte di queste fiabe ci sono giunte nella versione elaborata da Grimm nell’ultima edizione pubblicata, la settima. La Disney, il cinema e la televisione in generale hanno adattato queste fiabe affinché fossero destinate ai bambini.
In realtà, la prima edizione, pubblicata in due volumi, il primo nel 1812 e il secondo nel 1815, presentava tratti molto diversi rispetto alle edizioni successive. L’obiettivo dei Grimm era quello di raccogliere le fiabe della tradizione storica, culturale e sociale tedesca, non quello di raccontare storie per bambini.
Lo stesso titolo, Fiabe del focolare, rimanda a una fruizione di tipo orale, ma soprattutto condivisa: nella mente dei Grimm la loro raccolta doveva essere letta intorno al fuoco, nei mercati e in qualsiasi occasione collettiva. La dimensione orale e quella collettiva sono strettamente legate, infatti, i due fratelli hanno mantenuto, anche nella prima raccolta scritta, i dialetti con cui le storie erano state loro raccontate; sono poi presenti filastrocche e ritornelli da leggere cantando. Inoltre, al lato di ogni fiaba veniva riportato accanto il nome del narratore o, nella maggior parte dei casi, della narratrice. Viene attribuita alla raccolta dei due fratelli, Jacob e Wilhelm, la capacità di unificare una coscienza nazionale della Germania: il territorio tedesco, quando venne pubblicato il primo volume, era diviso in molteplici stati e si stava diffondendo l’idea di una Germania unita, realizzata poi nel 1871. Quello portato avanti dai Grimm fu un lavoro certosino, che si protrasse a lungo e si avvalse dell’aiuto di altri studiosi, come Brentano, nonché di numerosi narratori senza i quali non sarebbe stato possibile raccogliere un numero così elevato di fiabe. Queste furono raccolte principalmente nei giorni di mercato, il giovedì e la domenica, e le voci narranti furono soprattutto donne. È proprio una di queste narratrici che sposerà uno dei due fratelli. Le ripetizioni di alcune frasi all’interno delle fiabe rimandano a questa origine orale. Di alcune storie furono presentate anche più versioni, varianti della narrazione originale, ormai andata perduta.
Come detto, lo scopo della raccolta era, dunque, quello di “fissare” queste fiabe per non perderne la memoria e non quello di raccontare storie per bambini. Infatti, la prima edizione della raccolta presentava tratti più macabri e spesso violenti, che nelle edizioni successive vennero edulcorati a causa delle numerose critiche rivolte agli autori. In realtà i Grimm non erano a favore di una versione mitigata, come dichiaravano nella prefazione del secondo libro (1815):
«Ma con la nostra raccolta non vogliamo solo rendere un servigio alla storia della poesia (…): rallegrare, laddove può, e per questa via diventare un vero e proprio libro educativo. Contro quest’ultimo punto è stato osservato che alcuni passaggi qua e là potrebbero essere imbarazzanti, inadatti o raccapriccianti per i bambini (laddove si tocchino certi argomenti e situazioni, o semplicemente si alluda alle malefatte del diavolo), e che per questo i genitori non sarebbero disposti a mettere il libro nelle mani dei figli. In qualche caso isolato, tale preoccupazione potrebbe essere condivisibile, e facilmente si potrà scegliere cosa leggere; in generale certamente non è necessario. Ma niente meglio della natura stessa potrà venire in nostra difesa, perché è lei che ha fatto crescere questi fiori e queste foglie nei colori e nelle forme che noi raccogliamo; chiunque non li consideri di giovamento, in base a specifiche esigenze di cui la natura nulla sa, può facilmente evitarli, ma non potrà pretendere che sta si metta addirittura a cambiare i suoi colori o le sue forme. (…) tutto ciò che viene dalla natura non può che essere di giovamento, e noi a questo dobbiamo aspirare.»1
Le fiabe devono rappresentare la realtà così com’è, senza che i lati più oscuri vengano schiariti. Secondo i Grimm non è necessario censurare le parti più violente poiché
I bambini leggono le stelle senza paura, mentre altri, secondo la credenza popolare, facendo altrettanto offendono gli angeli.2
Gli autori riportano questo proverbio per sostenere la loro posizione; sarebbe infatti l’ingenuità stessa dei bambini a impedire che questi possano essere spaventati dai passaggi più scabrosi. Nelle fiabe non mancano inoltre alcuni riferimenti, anche piuttosto espliciti, alla sfera sessuale: in Raperonzolo, la protagonista della fiaba rimane incinta di due gemelli:
Raperonzolo dapprima si spaventò, ma presto quel reuccio le piacque tanto che si accordarono per vedersi ogni giorno: lui arrivava, e lei lo tirava su. Così se la spassarono per un bel po’, e la fata non si accorse di nulla.3
Tuttavia, proprio l’ingenuità dei bambini avrebbe impedito loro di cogliere questi aspetti. La maternità di Raperonzolo viene censurata sia nel cartone animato Rapunzel – L’intreccio della torre, sia in Barbie Raperonzolo. Manca in entrambi i cartoni anche l’aspetto più violento della fiaba originale: infatti, quando madre Gothel scopre la relazione con il principe, decide di fingersi Raperonzolo per ingannarlo. Il principe, credendo che la treccia sia di Raperonzolo, sale in cima alla torre, ma la fata lo fa precipitare dalla torre. Il giovane cade in un cespuglio di rovi e perde la vista (che recupererà solamente quando ritroverà Raperonzolo anni dopo).
Una raccolta che parla dell’infanzia, ma non direttamente all’infanzia: protagonisti dei racconti sono principalmente bambini e adolescenti, perlopiù esclusi ed emarginati, c’era stata, infatti, in quel periodo, una riscoperta dell’età preadulta.
Nel corso delle sette edizioni i Grimm hanno rimesso mano alle fiabe originali modificando e addolcendo alcuni tratti, trasformandosi così in autori di nuove fiabe. La versione che è giunta a fino a noi e che maggiormente si è diffusa è sicuramente quella meno tetra.
Una delle fiabe Disney più conosciute è Biancaneve. La storia la conosciamo tutti: una matrigna è invidiosa della figliastra a causa della sua bellezza. Ma siamo veramente sicuri che si tratti della matrigna? Nella fiaba originale, infatti, la regina cattiva è la madre di Biancaneve, che vuole uccidere il suo stesso sangue. Questa non è l’unica differenza. Innanzitutto, i tentativi mirati ad uccidere Biancaneve, escluso quello del cacciatore, sono tre: la matrigna, in un primo momento, tenta di soffocarla con dei nastri, successivamente con un pettine avvelenato e solo alla fine ricorre alla mela. Un’ulteriore differenza rispetto alla rappresentazione disneyana della strega cattiva è che la regina non è una strega: non c’è alcun libro magico di pozioni, nessun elisir dell’invecchiamento, la regina ricorre a del semplice veleno. Si discosta dalla versione di Walt Disney anche il finale: arriva il principe azzurro ma manca il bacio. A risvegliare Biancaneve dal sonno è uno dei servitori del principe: la bara di Biancaneve era stata portata nel suo castello affinché lui potesse onorarla anche se morta; un servitore stanco di dover faticare tutto il giorno per un cadavere le dà un colpo sulla schiena, spostando lo spicchio di mela avvelenata incastrata nel torace della ragazza.
L’ultimo aspetto che allontana il cartone dalla fiaba è il destino riservato alla madre di Biancaneve. Certamente la strega cattiva, Grimilde, andrà incontro ad un tragico finale: morirà in un dirupo mentre tenta di scappare dai nani. Nel cartone l’aspetto più macabro viene solo lasciato intuire: compaiono sulla scena due avvoltoi che volano verso il dirupo, probabilmente per cibarsi del corpo della strega. Alla madre di Biancaneve, nella storia, è riservato un finale forse peggiore:
Erano state preparate per la madre delle scarpe di ferro incandescenti. Fu costretta a indossarle e danzare e danzare fino ad avere i piedi orribilmente bruciati, e senza poter smettere fino a quando, ballando ballando, non fu lei a cadere morta per terra.4
La fiaba dei Grimm, rispetto al cartone e ai numerosi film che sono stati realizzati, presenta elementi magici piuttosto ridotti, eccetto lo specchio magico non resta nulla. Il male non è rappresentato da nessun elemento estraneo all’essere umano, e ciò che più colpisce è il modo in cui viene punito. Nel cartone un fulmine colpisce la punta della montagna dove si trova la strega, c’è una frana e lei cade. Non sono i nani a punire la strega, né tantomeno Biancaneve o il principe; nella storia originale dei Grimm c’è invece una sorta di vendetta da parte del bene: le scarpette sono state preparate appositamente per la strega, questo è l’aspetto terrificante. La vicenda è resa ancora più raccapricciante dal legame di sangue che unisce la regina e Biancaneve. A colpire non è la morte, ma la tortura che la precede.
Anche Cenerentola non è come ce l’hanno raccontata. Ritorna, come in Biancaneve, il numero tre, infatti, al castello del principe si tengono tre balli. Cenerentola assiste al primo ballo dalla colombaia, mentre partecipa al secondo e al terzo ballo. L’aspetto più macabro, che si è perso, riguarda le sorellastre di Cenerentola; quando arriva il loro turno per provare la scarpetta la madre dà loro il seguente consiglio:
“Sentite – disse piano piano la madre, – eccovi un coltello, e se la scarpina è troppo stretta, tagliatevi un pezzo di piede, fa un po’ maluccio, ma che importa, poi passerà, e una di voi sarà regina.”5
Al momento della prova le due sorelle si saranno fatte persuadere dalle parole della madre?
Così la maggiore entrò nella stanza e provò la scarpetta, la punta del piede c’entrava, ma il tallone era troppo grande, così prese il coltello e si tagliò un pezzo di tallone, fino a calcare tutto il piede nella scarpetta.6
Il sacrificio della sorellastra maggiore si rivela, però, inutile. Il principe si accorge che dalla scarpetta esce del sangue e si rende conto dell’imbroglio. Ora è il turno della sorella più piccola:
Ma la madre disse alla seconda figlia: “Prendi tu la scarpetta, e si è troppo corta, meglio se ti tagli le dita”. E quella si portò la scarpetta in camera, e poiché il piede era troppo grande, strinse i denti e si tagliò un bel pezzo di dita, e presto presto si infilò alla scarpetta.7
Anche il sacrificio della seconda sorella risulta inutile: ancora una volta il principe scopre l’inganno. Sarà Cenerentola che sposerà il principe.
Come nella storia di Biancaneve, il prezzo pagato dalle sorellastre è altissimo, mentre nel film della Disney queste scompaiono, senza che si sappia quale sia il loro destino. Di nuovo il male viene rappresentato dall’essere umano, solo che non c’è nessuna vendetta. Sembra che le sorellastre si autopuniscano.
Nella fiaba non compare la fata madrina, ma solo due colombe parlanti e un albero magico come alleati di Cenerentola.
Scorrendo le pagine della raccolta, si nota come gli elementi magici siano ridotti e poco fantasy: nessuna pozione, pochissime fate ma moltissimi animali parlanti. Ripensando all’origine delle fiabe questo dato risulta piuttosto logico: nel folklore le fiabe richiamano la realtà e rimandano a miti e leggende a cui si è a lungo creduto; le forze del male e del bene vengono ridimensionate. Nel tempo i tratti più violenti si sono persi o trasformati e ad affermarsi sono state le fiabe dell’ultima edizione pubblicata dai fratelli Grimm, quella più edulcorata.
di Marta Tucci
Bibliografia
- Tutte le fiabe. Prima edizione integrale 1812-1815, a cura di Camilla Miglio, Roma, Donzelli 2015, pp. 382-383
- Ibidem
- Ivi, p. 54
- Ivi, p. 243
- Ivi, p. 105
- Ibidem
- Ivi, pp. 105-106.
p. 9 →
← p. 7