Premessa
Memento mori (breve manifesto di una generazione abbandonata a se stessa)
Esiste addirittura un neologismo inglese: ecoanxiety, ansia ecologica. È la condizione esistenziale della nostra generazione, di noi giovani, che sappiamo di essere destinatǝ a morire soffocatǝ.
Non siamo la prima generazione a vivere di angoscia: ci sono stati, prima di noi, i Romantici, sconvolti dai tumulti del loro presente, ma anche i figli della Seconda Guerra Mondiale, per sempre marcati dagli orrori del loro passato. Noi siamo, però, una generazione perennemente in lotta contro il tempo, per il proprio futuro.
Dire che la COP26 di Glasgow, conclusasi sabato 13 novembre 2021, sia stata una delusione, sarebbe un clamoroso eufemismo. Ci prova, Il Post, ad essere ottimista: questa è la prima COP in cui sono stati citati i combustibili fossili; ci si è impegnati a riparlare ogni anno di NDC per la neutralità carbonica; i Paesi ricchi hanno rinnovato l’impegno ad aiutare economicamente i Paesi in via di sviluppo nella crescita industriale sostenibile, volutamente ignari del controsenso.
A noi non bastano queste poche, vuote promesse per definire il summit “riuscito”, men che meno “utile”. Di questo passo, alla fine di questo secolo, la temperatura media terrestre sarà aumentata di 2,7°C rispetto ai livelli pre-industriali, ben oltre il limite massimo per la nostra sopravvivenza (1,5°C, il cui raggiungimento, in teoria, avrebbe dovuto essere evitato a tutti i costi dai Paesi del mondo, grazie alle misure decise in questo novembre).
Come se non bastasse, questi timidi propositi partono da pulpiti mendaci e omertosi. Tra agosto 2020 e luglio 2021, sono stati distrutti 13.235 km2 di foresta amazzonica, o 745 milioni di alberi1; cosa che il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, si è guardato bene dal comunicare ai suoi colleghi riuniti in Scozia – e al mondo intero, rivolto alla Mecca verde in cerca di soluzioni concrete.
Cosa vuol dire vedere aumentare la temperatura media terrestre lo sappiamo tuttǝ, eppure non sembra preoccuparci più di tanto. Finché erano solo le isole caraibiche o i Paesi del Pacifico ad essere sommersi, finché erano i boschi e gli animali d’Australia a bruciare, finché a perdere la vita e la casa erano le popolazioni dell’Africa o del Sudamerica, poteva valere l’antico e odioso adagio del “not in my backyard”, declinato al tempo dell’indifferenza e al modo dell’individualismo guercio. Ma ora che anche noi stiamo vivendo una pandemia debilitante, causata da una zoonosi (la cui diffusione esponenziale è un’altra delle conseguenze dei soprusi che infliggiamo al nostro pianeta), che scusa abbiamo?
«Eh, ma io faccio la differenziata!»
«Io non mangio carne da due anni, solo tofu e seitan!»
«Guarda che non uso più le cannucce di plastica, io ci tengo alle tartarughe!»
Non basta. Internazionale, l’anno scorso, dedicava la propria copertina ad un articolo, di Jaap Tielbeke, dal titolo illuminante: Il mito del consumatore verde2. È un titolo, questo, che ci ha particolarmente colpitǝ per la sua acutezza, perché raccoglie due concetti importantissimi. In primo luogo, quello del “consumatore verde” è un mito perché è, molto semplicemente, una grandissima frottola, uno scaricabarile delle multinazionali e delle persone di potere per farci credere che dipenda da noi, dalle nostre singole abitudini, salvare il pianeta. Ovviamente ognunǝ può integrare nella propria routine delle pratiche etiche più sostenibili, come evitare di consumare prodotti di origine animale, limitare la propria produzione di rifiuti o boicottare l’industria fast-fashion. Però, è incredibilmente ingenuo pensare che, se tutte le persone della Terra non mangiassero carne e non usassero plastica, il livello dei mari si abbasserebbe magicamente.
Tutto aiuta, ma non sta al singolo privarsi di ogni cosa e perseguire l’ideale effimero dell’“attivista perfettǝ”: alla chiamata della responsabilizzazione individuale, dovrebbero rispondere proprio quei compiaciuti imprenditori che cercano di farci credere alla miracolosa rinascita del pianeta grazie ad un bel «lavoriamo nel rispetto della terra, per il futuro» nelle loro pubblicità. Il comune di Milano, nel Piano per la qualità dell’aria scattato il 19 novembre 2020, vieta il fumo all’aperto «per ridurre l’inquinamento prodotto dalle sigarette». Esatto, proprio a Milano, una città in cui, tra traffico, polveri sottili delle fabbriche, riscaldamento e allevamento intensivo, si è toccato un livello di concentrazione di PM2,5 annuo compreso tra 15 e 25 μg/m3, conquistando il 303° posto (su 322) nella classifica della qualità dell’aria nelle città europee3. Non prendiamoci – e non prendeteci – in giro.
Il “consumatore verde”, inoltre, è un mito perché i due termini, oltre ad un certo punto, diventano antitetici. La nostra società sta annegando nel consumismo, mentre intere zone del pianeta annegano sotto l’azione delle catastrofi naturali. La produzione industriale-capitalista è, per definizione, non ecosostenibile. Un rapido esempio: poniamo che ogni persona sulla Terra (al momento della scrittura di questo articolo, sfioriamo gli 8 miliardi4) diventi vegetariana o vegana, mettendo fine, dunque, all’egemonia della seconda industria più inquinante al mondo. Per mantenere il livello di consumo attuale di cibo dei Paesi del cosiddetto “primo mondo”, non basterebbe una superficie di terreno coltivabile, da adibire alla produzione di prodotti vegetali, pari all’intero continente americano. Se poi volessimo addirittura, in un moto di inusuale empatia verso il prossimo, garantire la stessa quantità di cibo anche a tutte le altre nazioni del mondo, dovremmo escogitare qualche stratagemma alla Thanos, per non finire tutti e otto miliardi ammucchiati nel Liechtenstein.
Il naturalista britannico David Attenborough, proprio alla COP26, ha auspicato una «nuova rivoluzione industriale» in chiave sostenibile. Tuttavia, il nostro stile di vita attuale non è mantenibile senza lo sfruttamento delle risorse naturali e l’energia prodotta dai combustibili fossili. Più che una rivoluzione industriale, serve una rivoluzione tout court, in primo luogo del nostro modo di vivere e di pensare l’esistenza (non più nel nostro backyard, isolatǝ e isolazionistǝ, ma riconoscendoci come parte di un gruppo animale, come animali politici le cui azioni si ripercuotono su tutta la specie). Alla rivoluzione interiore, da perseguitorǝ del “sempre di più” a coscienti del “quanto basta”, non potrà che succedere una rivoluzione attiva.
Non più consumatori “verdi”, ma agenti verdi: Greta Thunberg viene bollata di estremismo, ma la nostra redazione, composta da persone tra i 19 e i 26 anni, vede in lei una ragazza che vuole un futuro e che ha capito qual è l’unico modo di realizzarlo. Thunberg ha capito che il pianeta non verrà salvato nei palazzi, da mediocri uomini bianchi in giacca e cravatta che si scambiano saluti molto poco anti-Covid con altri mediocri e multimiliardari uomini bianchi in giacca e cravatta.
Il pianeta verrà salvato nelle strade, dalla voce di chi non vuole soffocare a causa delle polveri sottili e dei gas-serra. Il pianeta verrà salvato alle urne, dove l’unico voto utile è quello che può portare un cambiamento. Il pianeta verrà salvato da quantǝ avranno il coraggio (o la disperazione) di bloccare il fascino perverso della scalata capitalista con il muro della consapevolezza di quanto poco tempo ci rimane.
Tutto il resto è blah, blah, blah.
Buona lettura,
La Redazione
Fonti:
- ANSA (https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2021/11/22/amazzonia-persi-745-milioni-alberi.-ong-dati-omessi-a-cop26_072cef69-9777-46c9-96ce-0878da980ec9.html).
- In Internazionale n. 1372 (21/27 agosto 2020), pp. 36-41, cfr. https://sottolequerce.altervista.org/w/index.php?title=Internazionale_-_Il_mito_del_consumatore_verde.
- European Air Quality Index, 17 giugno 2021 (cfr. https://airindex.eea.europa.eu/Map/AQI/Viewer/).
- Worldometer, cfr. https://www.worldometers.info/it/.
Indice
- Premessa della Redazione……………………………………………………………………………. p.1
- Il problema energetico di T. Strada……………………………………………………………. p.2
- Attivismo consapevole di F. Vecchi……………………………………………………………. p.3
- Dalla Land art al fast-fashion di G. Beluffi……………………………………………….. p.4
- NaturART di V. Spreafico……………………………………………………………………………… p.5
- Ambiente e filosofia dal 1973 di M. Romaniello……………………………………… p.6
- Una foglia rossa per energia verde di M. Mallia…………………………………….. p.7
- E se il tardo capitalismo fosse la soluzione? di N. Lasku………………………. p.8
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