Per me no, grazie: asessualità e rappresentazione
Quante volte capita di vedere un film qualsiasi e ad un certo punto i due protagonisti, rigorosamente uomo e donna, iniziano a scambiarsi sguardi languidi, ad avvicinarsi, finché non si arriva all’inevitabile bacio sfociante in una passionale scena di sesso? Probabilmente, qualcuno si sarà domandato se fosse proprio necessario inserire una storyline romantica in un film che poco c’entra con l’amore. In tal caso, inconsapevolmente, ci si sta immedesimando in chi è asessuale. Per farvi capire cosa intendo, vi spiego meglio.
L’asessualità è caratterizzata dall’assenza di attrazione sessuale verso persone di qualunque genere o orientamento, divergendo dall’astinenza poiché quest’ultima ha una dimensione volontaristica, che manca proprio nell’asessualità. Molte persone di questo orientamento preferiscono distinguere le loro preferenze sessuali da quelle romantiche. C’è chi intraprende relazioni romantiche, pur provando un’attrazione esclusivamente platonica. Altri, invece, si aprono alla masturbazione, ma non al sesso con altre persone, o viceversa: è una situazione che varia in base all’individuo o alla relazione di cui fa parte.
Il concetto di asessualità viene formulato all’inizio del Novecento. Il sessuologo tedesco Magnus Hirschfield fece riferimento, nel suo saggio Sappho und Sokrates, alle persone senza alcun desiderio sessuale come “anesthesia sexualis”. Successivamente, negli anni ‘40 questo orientamento venne incluso nella nota Scala Kinsey (metro di valutazione ideato da Alfred Kinsey per dimostrare che l’orientamento sessuale non si limitava a etero e omo, ma c’era una scala di valori intermedi) sotto la “Categoria X”, contraddistinta da una mancanza di attrazione e comportamenti sessuali. Il termine asessualità ha iniziato a circolare, fino ad apparire in un manifesto delle New York Radical Feminists nel 1972. Poi, nel 2001, David Jay fondò l’Asexual Visibility and Education Network (AVEN), che diventò la principale piattaforma mondiale per le comunità asessuali. Nell’anno successivo, lo stato di New York promulgò il Sexual Orientation Non-Discrimination Act, l’unico documento legale che riconosca l’asessualità.
Per approfondire alcuni aspetti di questa identità, ho scambiato due parole con E., 17 anni, che di recente si è rivelata ai suoi amici, me compresa, come asessuale e aromantica. «Non ho mai avuto una cotta vera e propria, ci sono state delle persone per cui ho creduto di averla, ma probabilmente era solo “comphet”1. L’estate scorsa ho pensato di essere bi, in quanto sentivo di essere attratta in modo uguale da ragazze e ragazzi, ma se poi quell’attrazione in realtà equivale a zero… Un giorno ho visto un Tiktok che descriveva la mia sensazione e diceva “se ti senti così, probabilmente sei aromantica e asessuale”. Da lì, ho iniziato a mettere like a questi video per l’algoritmo e averne sempre di più, per avere più info a riguardo. Io continuo a tenermi una porta aperta, alla fine sono giovane e l’ho scoperto da poco. Però non per questo la mia situazione attuale viene invalidata. All’inizio non ne ero così sicura, alle medie avevo letto un post che parlava di asessualità e ho pensato “che tristezza non innamorarsi”: l’ironia della sorte. Ho sempre saputo dell’esistenza dell’asessualità, ma dopo quella realizzazione ho iniziato a capire veramente come mi identificavo.»
E. mi parla anche di alcune distinzioni all’interno dello spettro dell’asessualità, per ovviare un po’ alla mia ignoranza in materia. Esistono gli asessuali sex-averse o sex-repulsed, per i quali l’idea di fare sesso anche con il proprio partner li mette profondamente a disagio. Per i sex-neutral il sesso è un’attività come altre, un hobby senza particolari connotazioni. Ai sex-favorable, invece, l’atto può anche piacere se lo fanno con il proprio partner di cui si fidano: continuano a non provare attrazione sessuale, ma sono disposti a farlo se c’è un accordo comune e questo non cambia la loro asessualità. Bisogna però anche distinguere i diversi tipi di attrazione, che sia asessuali che allosessuali2 provano. Attrazione sensuale (si cerca un contatto fisico ma non di natura sessuale), romantica, platonica, estetica: «Tutte queste informazioni non sono così conosciute, si pensa in automatico che il sesso sia totalmente escluso dalla nostra vita» mi spiega E. «Il fatto che ci siano così tanti luoghi comuni a riguardo porta le persone asessuali a non identificarsi subito con questa etichetta; rimani in un limbo in cui ti chiedi “chi sono?”. E magari ti forzi a fare cose che non vuoi davvero.»
Ma allora, come si rappresentano gli asessuali nei prodotti mediatici? Da come si può intuire, poco e male. In qualunque ambito, la mancanza di rappresentazione rispetto a minoranze fa sentire molto isolati. «La nostra società è molto basata sul sesso e sulle relazioni. Io ho fatto coming out con diversi miei amici e ci sono state delle reazioni che mi hanno dato fastidio, spesso mi facevano domande invasive. Si dà per scontato che ognuno abbia un “tipo” di partner ideale.» E. mi racconta: «Una volta, stavamo organizzando una festa a tema e una proposta è stata “travestiamoci come il nostro tipo ideale”, che poi ha vinto a votazione su tutte le altre. Potevo fregarmene e vestirmi dalla mia cantante preferita, però lì mi sono sentita molto esclusa, perché, a quanto pare, è scontato avere una cotta. I miei amici mi dicevano “dai, ci sarà per forza qualcuno, inventa”, ma ha avuto un impatto significativo sulla mia salute emotiva. Nelle nostre vite si parla più di sesso, relazioni e gossip su di esse che di altro, è una costante. A volte mi sento sopraffatta, e molto sola.»
Nei media mainstream si riconoscono due tropi. Un personaggio maschile possibilmente asessuale viene visto come il genio solitario. Il classico esempio sarebbe Sherlock Holmes (qui terrò in considerazione i libri di Sir Conan Doyle e non l’omonima serie della BBC). Il genio solitario non ha tempo né voglia di interessarsi a questioni di cuore, è talmente ignaro delle avance che gli vengono poste che non riesce nemmeno a concepire cosa possa esserci di interessante o vantaggioso in un partner romantico o sessuale. Solitamente, ha un talento fuori dal comune, che lo rende diverso dagli altri e talvolta lo isola. Tuttavia, egli non sente il bisogno di compagnia al di fuori della sua “spalla” (in questo caso, John Watson), men che meno di romanticismo. È troppo dedicato a lavorare sulle sue capacità per farsi coinvolgere da un possibile partner.
Se invece passiamo ai personaggi femminili, il tropo predominante è quello della zitella. Non c’è neanche bisogno di fare un esempio: è dalla nascita dei prodotti mediatici che esistono le zitelle e lo stereotipo è costantemente nutrito dal sessismo insito nella società contemporanea. Una donna non può essere disinteressata all’amore altrimenti c’è sicuramente qualcosa che non va nella sua testa; è bene che si trovi al più presto un marito, prima che, non sia mai!, diventi una vecchia zitella. Un po’ come la zia March di Piccole Donne, con la differenza che nel libro nessuno l’ha mai criticata per la sua scelta di vivere sola e ricca (come biasimarla). Questo stereotipo si è purtroppo fatto strada nelle narrazioni mainstream: un classico è la ragazza un po’ “nerd” interessata ai libri, a cui basta un makeover per finire tra le braccia del ragazzo più bello della scuola. E questo è solo uno dei tanti esempi triti e ritriti.
A riguardo, E. si esprime: «La maggior parte delle storylines dei film si basa su una storia d’amore, anche nei generi non strettamente romantici, intrecciandosi sempre con qualcosa. Fare un film su una persona senza relazioni romantiche magari smonta un po’ la trama, ma preferirei una trama più originale rispetto alla classica situazione in cui i due protagonisti inevitabilmente si innamorano.». In generale nei film, ma anche nelle storie tradizionali, eroi ed eroine devono avere un desiderio che li spinga ad agire, avviando la trama vera e propria. Senza un motore iniziale, la storia non può cominciare. Il fatto è che, spesso e volentieri, questo desiderio è di tipo sentimentale o sessuale (quante volte la donna amata è stata l’inizio di un’avventura?). Il problema è che esiste una percentuale di spettatori, anche se bassa rispetto al pubblico di massa, che non si riconosce in questo desiderio e, di conseguenza, non comprende davvero cosa spinge la trama in avanti.
Certo, non significa che il romanticismo vada abolito dai media mainstream: è un genere così diffuso e variegato proprio grazie alla sua popolarità, quindi sarebbe controproducente evitarlo ad ogni costo. Tuttavia, sono certa che tutti noi almeno una volta abbiamo sbuffato davanti al televisore perché stavamo assistendo ad una scena d’amore che non aveva nulla a che fare con la storyline principale.
Fortunatamente, ci sono due personaggi della cultura mainstream che ribaltano i loro rispettivi tropi: Todd Chavez della serie Bojack Horseman e Elsa del famoso film di animazione Frozen.
Todd è il coinquilino e migliore amico del protagonista Bojack e, nel finale della terza stagione, riconosce la sua asessualità dopo una lunga riflessione sul suo orientamento. Tuttavia, a differenza della serie Sex Education (la quale comprende un personaggio asessuale, ma solo per una breve scena nell’arco di 3 stagioni), Bojack Horseman permette a Todd di svolgere un percorso approfondito sulla sua sessualità, esplorando anche l’attrazione romantica e le sfumature della vita sentimentale entro la comunità ace. Pur essendo una serie comedy, Bojack non si prende gioco di Todd per il suo orientamento, anzi, stravolge completamente le carte in tavola con una commedia principalmente slapstick3 o assurda. Tutti i personaggi principali danno per scontato che Todd abbia rapporti sessuali o lo colgono in situazioni “ambigue” che in realtà non hanno alcun sottotesto sessuale. La differenza rispetto a Sherlock è che Todd è tutt’altro che geniale: è un ragazzo semplice e un po’ ingenuo, il cui unico talento è inventarsi proposte assurde per delle start-up che puntualmente falliscono. Lui non è interessato a una vita sessuale, punto, e non perché sia concentrato a far crescere le sue doti.
Elsa, invece, è ben diversa. Sin da piccola, ha il potere di manipolare neve e ghiaccio. Nel primo film impara a controllare questa abilità e ad usarla per salvare la sorella e il regno. Nel secondo, cerca di scoprire da dove vengano i suoi poteri e sente un richiamo provenire dalla foresta ai confini di Arendelle. È la classica storia dell’eroina alla ricerca di se stessa, esemplificata da due canzoni presenti nel film, Into the Unknown e Show Yourself. Assieme a Let It Go, questi assoli sono spesso visti come un inno per la comunità queer. Già prima che uscisse Frozen 2 (2019), si speculava su una possibile relazione omosessuale di Elsa. A seguito del primo film, l’identificazione con le difficoltà della protagonista è risultata estremamente efficace. Questi sono ostacoli apparentemente universali, come la ricerca di un’identità, trovare il proprio posto nel mondo e rompere gli schemi che ci impediscono di esprimere noi stessi, ma che, in prospettiva queer, trovano decisamente una lettura più personale, anche se non esclusiva.
Spesso, nell’universo Disney, il queercoding4 è assegnato ai cattivi: Elsa invece è la protagonista, l’eroina, e il suo percorso di ricerca dell’identità è molto simile al percorso di coming out. Tuttavia, nel caso di Elsa, le relazioni romantiche sono totalmente ignorate, tanto che in due film non ha neanche un’interazione di questo genere. È comunque difficile trovare un’interpretazione condivisa del suo personaggio, ma è innegabile che Elsa somigli più al genio solitario che alla zitella: costruisce un palazzo di ghiaccio grazie ai suoi poteri, ascolta il suo intuito (che le ha sempre detto di non fidarsi di Hans, che infatti si rivelerà malvagio, e si dedica più ad affinare i suoi poteri che a cercare un partner. In questo modo, Todd e Elsa ribaltano considerevolmente i tropi dell’asessualità, dimostrandoci che è possibile creare personaggi asessuali senza ricadere nei soliti stereotipi.
Voglio inserire anche un consiglio letterario di E., per chi preferisce i libri ai mezzi audiovisivi: Loveless di Alice Oseman. Georgia è una ragazza da poco maggiorenne, che ama le storie d’amore, ma fa fatica a trovare il romanticismo nella sua vita. L’inizio dell’università sembra l’occasione perfetta per recuperare tutte le “prime volte” che non ha mai avuto, ma, man mano che incontra persone nuove, si scontra anche con nuovi termini: asessualità e aromanticismo. Ha sempre pensato di avere standard troppo alti in amore e che quindi nessuno rispettasse le sue aspettative. Solo all’università capisce che in lei non c’è nulla di sbagliato ed è questo l’importante. Come dice saggiamente Jean Milburn (Sex Education): «Sex doesn’t make us whole. And so, how could you ever be broken?».
Note
- Abbreviazione di “compulsive heterosexuality”, ovvero eterosessualità forzata. Secondo questa teoria, l’eterosessualità è data per scontato e forzata sulle donne da una società patriarcale e eteronormativa.
- Chi prova attrazione sessuale, è l’opposto dell’asessualità.
- Particolare sottogenere cinematografico, nato nel periodo del muto in Francia e sviluppatosi negli Stati Uniti negli anni 1920, fondato su una comicità elementare che sfrutta il linguaggio del corpo e si articola intorno a gag tanto semplici quanto efficaci. [Treccani].
- Il queercoding è la codifica sottintesa che un personaggio in un medium sia queer. La sessualità di quest’ultimo può non essere confermata, ma la codifica avviene partendo da tratti e stereotipi riconoscibili come queer dal pubblico. È un termine usato nella discussione della rappresentazione della comunità LGBTQ+ nei media.
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