Sex Education e Big Mouth: dove la scuola non arriva
Dall’alto dei miei ventitré anni, mi capita molto spesso, specialmente negli ultimi tempi, di guardare mio fratello -che di anni ne ha solo dodici- e di ricordare, attraverso di lui, gli stessi momenti e gli stessi passaggi fatidici verso l’età adolescenziale, poi adulta, che si compiono a quell’età. Quello delle scuole medie è sicuramente un periodo molto delicato, mai facile per nessuno, che richiede molta cura e attenzione da parte degli adulti che orbitano intorno allo studente. Fondamentalmente si tratta di un periodo di scoperte, di nuove priorità, di rifiuto, a volte anche violento, di ciò che prima si considerava una certezza, un porto sicuro nel quale approdare. È un periodo che, nelle maglie del sistema scolastico, serve a formare e preparare i giovani ad un altro periodo, altrettanto delicato e complesso più dal punto di vista didattico, ma anche da quello personale e della crescita, ossia quello delle scuole superiori.
Non posso e non voglio prendere me stesso e il mio percorso scolastico come punto di riferimento per questo articolo, che finirà a parlare di tutt’altro; da qui però sarà necessario partire.
Sono uno studente di lettere moderne, ho studiato in un liceo classico della periferia di Milano e le mie scuole medie sono state, essenzialmente, una tortura.
Molto spesso mi capita di tornare con la mente a quegli anni, insieme ad amici e amiche che hanno frequentato le stesse scuole, e di ricordare momenti salienti di quel percorso.
Un momento che ricorre frequentemente, nei ricordi miei e dei miei ormai ex-compagni, è quello di una lezione di “educazione sessuale e all’affettività” (così era chiamata) fatta durante il secondo anno del liceo. Questa lezione di due ore, indebitamente e con costrizione burocratica sottratte alla professoressa di latino e greco che fremeva sulla sedia per poter tornare in aula a spiegare la differenza fra un aoristo forte e un aoristo fortissimo, è stata l’unico momento del mio percorso scolastico nel quale, a scuola, è entrato, a gamba tesa, il sesso. Ovviamente questo non significa che quelle due ore siano state fruttuose o arricchenti: di quella lezione, infatti, io e i miei amici ricordiamo solo un frammento, estremamente ironico, nel quale una sessuologa proveniente dal consultorio della città ci spiegava, con la dovizia di particolari che l’argomento richiedeva, come utilizzare un preservativo, aiutandosi, nella dimostrazione pratica, con una banana e, appunto, un profilattico (rosa – presumo fosse alla fragola, forse qualcuno ha anche chiesto “ma è alla fragola?”).
Col passare degli anni, però, ho potuto capire, da molte persone provenienti da ogni parte d’Italia, di potermi considerare molto fortunato: il mio liceo mi ha offerto queste due ore di educazione sessuale, in orario scolastico. A tanti altri questa opportunità non è stata data.
Dovrei essere riconoscente per quella lezione? Dovrei ringraziare per l’opportunità? No, perché non mi è stato detto niente che non sapessi già o che mi fosse, in qualche modo, utile; sì, perché «almeno le ho avute queste ore». Sicuramente si potrebbe fare di più sul tema, ma questa è una opinione condivisa dai più e quasi banale.
Io, come probabilmente tutte le persone della mia generazione (ma anche quelle che sono venute un po’ prima e un po’ dopo), ho imparato ad approcciarmi alla sessualità attraverso due strumenti: il confronto con gli altri e la pornografia. Spesso, ci capitava, durante quei momenti un po’ sui generis del percorso scolastico, come le gite, di sederci insieme e confrontarci sul tema; eravamo dei ragazzini pieni di insicurezze, dubbi, domande irrisolte e privi di alcun interlocutore a cui potessimo rivolgerci senza imbarazzo. Siamo cresciuti con un’idea del sesso estremamente idealizzata, fittizia e astratta, che si è rivelata inapplicabile, nella realtà concreta.
In altri momenti, però, mi è capitato di tornare con la mente a quella breve lezione. Mi è capitato, per esempio, durante certe serate di questa pandemia, di passare, in mancanza di alternative, a Netflix. E proprio su Netflix ho trovato due prodotti, fra i più famosi del suo catalogo certamente, che fanno del sesso e dell’educazione sessuale la loro missione principale.
Il me ventitreenne, guardando Sex Education e Big Mouth, ha invidiato i tredicenni di oggi, a cui si mettono a disposizione due prodotti così ben fatti e ben congegnati, semplici nel loro sviluppo, ma estremamente educativi, per poter comprendere qualcosa del mondo del sesso, che a tredici anni appare così lontano e quasi mitico.
Sex Education è essenzialmente un teen-drama, una serie prodotta per un target adolescenziale, ma risulta estremamente piacevole e fruibile anche dal pubblico adulto. La trama è lineare e conosciuta: Otis, il figlio un po’ sfigato e sessualmente inibito di una famosa sessuologa, si trova insieme a Maeve, una ragazza con una storia famigliare complessa, a gestire una sorta di consultorio abusivo nella scuola che frequentano. Grazie alle conoscenze teoriche di Otis in materia e allo spirito da affarista di Maeve, i due riscuotono un certo successo, e si trovano tra le mani un grande pubblico, composto dai loro compagni e compagne, ognuno con i propri problemi, con le proprie paure, con le proprie domande. Così, con questo meccanismo così semplice, si scoperchia un vaso di Pandora enorme, che ben rappresenta la realtà effettiva. Grazie a questo espediente narrativo, si affrontano argomenti di cui è importante parlare, ma di cui nessuno parla mai: il sesso in primis, ma anche le malattie sessualmente trasmissibili e la prevenzione. Si parla anche di orientamento sessuale, ma i personaggi non-etero e non-cisgender vengono presentati senza quella tipica pesantezza che spesso viene utilizzata per introdurre l’argomento. Non si fanno giri di parole, si presenta la cosa come scontata; un modo di agire che si spiega da solo nella serie stessa, in cui, a un certo punto, si sente la battuta «homophobia is so 2008». Sebbene tutti quanti siamo al corrente del fatto che l’omofobia (insieme alla transfobia) non sia rimasta ancorata nel 2008, la serie non ci presenta la questione come problematica; le persone non-etero esistono, le persone transgender esistono, e così vengono naturalmente introdotte.
Sex Education permette agli spettatori di tutte le età di immedesimarsi profondamente in questo piccolo mondo, sempre soleggiato, seppur ambientato da qualche parte nel Regno Unito, abitato da tantissimi personaggi, ognuno con una propria caratterizzazione, personale e profonda. È uno show che parla, senza censure di alcun tipo, di argomenti difficili e allo stesso tempo importanti, ma che dovrebbero trovare il loro luogo di esplicazione primario nella scuola.
Il catalogo Netflix offre un altro prodotto che ha strettamente a che vedere con il sesso e l’educazione sessuale, che parla di adolescenti a scuola, dei loro problemi e dei loro dubbi in merito: Big Mouth.
Big Mouth è una serie tv animata che ha tantissimo da insegnare, a chi la guarda con occhio non giudicante. Certamente si tratta di un modo di spiegare, di porre gli argomenti, molto più forte, e a tratti anche volgare, rispetto a Sex Education. Big Mouth non si pone alcun limite e, attraverso le vicende al limite del ridicolo dei suoi protagonisti, ci racconta di un mondo reale nascosto sotto la superficie. Ci parla di scoperta del nostro corpo e anche di ricerca del piacere attraverso la masturbazione quando si è adolescenti. Questo bisogno, questa curiosità verso il sesso, nella serie è rappresentato attraverso dei personaggi, una sorta di mostri benigni del desiderio sessuale che appaiono accanto ai personaggi umani. Sono allegorie di questa pulsione, e solo il loro umano può vederli. Big Mouth ci parla anche di bullismo, di emarginazione sociale, di misoginia, di omofobia, trattando ogni argomento con un piglio forse non congeniale a tutti ma, sicuramente, estremamente efficace.
Quando ero alle scuole medie, o nei primi anni di liceo, avrei desiderato tantissimo avere show come questi da poter guardare e da cui imparare qualcosa. In un periodo della vita già estremamente difficile, ci siamo ritrovati pieni di dubbi e insicurezze, che molto spesso ci portiamo dietro nell’età adulta; non avevamo un interlocutore adeguato con cui affrontare queste tematiche, avevamo solo noi stessi e i nostri compagni, pieni di dubbi quanto noi. Si potrebbe obiettare che una serie tv non potrà mai essere esaustiva abbastanza per insegnare tematiche così delicate -e io concordo- ma dove sono le alternative? Non dovrebbe occuparsene la scuola? Non sarebbe meglio introdurre, a un certo punto del percorso scolastico, un corso obbligatorio di educazione sessuale? Certamente sì, ma in mancanza di altro, Sex Education e Big Mouth rimangono strumenti validissimi a disposizione dei più giovani, show da encomiare per il loro essere diretti e senza censure e prodotti da consigliare fortemente.
di Luca Ruffini
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