Ci serve il DDL Zan?
Negli ultimi mesi è scoppiata la discussione pubblica intorno al DDL Zan, ovvero il disegno di legge avente come primo firmatario Alessandro Zan, deputato del Partito Democratico. Presentato il 2 maggio del 2018, ha svolto il suo iter fino ad essere approvato il 2 novembre 2020 alla Camera dei deputati: oggi è fermo in Commissione Giustizia al Senato, dove sta affrontando opposizioni politiche molto forti.
Si tratta di una proposta di integrazione della Legge Mancino del 1993, la quale va a colpire, in maniera più seria, l’incitamento all’odio, alla violenza, la discriminazione e la violenza in sé, perpetrate per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali. In quest’ottica si vuole estendere questa tutela per intervenire anche su casi di omobitransfobia, misoginia e abilismo.
“Le leggi esistono già, basta applicarle” ed “è già prevista l’aggravante per futili motivi” sono due obiezioni che mi sono state fatte spesso, nelle discussioni con amici e conoscenti. Qualche dato flash: nel 2018, in Inghilterra, ci sono state 16.284 denunce per omobitransfobia; in Italia, solo 100.
È una buona cosa? Assolutamente no. Il problema è che non abbiamo dati veritieri e/o completi a disposizione, questo a causa di due fenomeni.
Il primo è l’under-recording, ovvero quando il conteggio di un evento risulta incompleto: in assenza di una legge come il DDL Zan è più difficile che casi di violenza vengano denunciati. L’altro fattore è l’under-reporting, ovvero la tendenza delle vittime a non denunciare per i più svariati motivi, quali sfiducia nella legge, paura di ritorsioni, rassegnazione alla violenza, poca consapevolezza dei propri diritti, vergogna e
imbarazzo. Sicuramente questa legge da sola non può cambiare di punto in bianco la situazione, ma rappresenta di certo un primo passo per riconoscere l’esistenza di certi tipi di discriminazioni e violenze, obbligando così la nostra opinione pubblica e la politica a fare i conti con esse.
In generale, sentendo più interventi di persone, ad esempio opinionisti e politici contrari a questa misura, mi sembra di percepire una certa tendenza a fare finta che certi tipi di persone non esistano, come a “nasconderle”: una sorte di oscurantismo decisamente retrò dal sapore neo-ungherese, vista la recente legge approvata nel paese magiaro che impedisce di parlare di omosessualità e transessualità davanti ai minori, oltre che paragonarli ai pedofili. Dare la possibilità a chi ne ha bisogno di essere difeso, tutelato e seguito affinché possa esprimere la propria interiorità e il proprio modo di essere penso sia alla base di una società civile, quale noi teoricamente siamo. O dovremmo essere.
Tra le altre preoccupazioni degli oppositori nostrani, ci sono quella di venire intrappolati in una fantasiosa gabbia del politically correct, di non poter più ridere e fare battute sugli altri o, addirittura, di non poter più esprimere le proprie idee contro adozioni omogenitoriali, matrimoni omosessuali e via dicendo. Per quanto io sia lontano da queste idee, è legittimo che ci siano persone che concepiscano il mondo anche in questi termini. E lo sa pure il DDL Zan: l’articolo 4 tutela espressamente «la libera espressione di convincimenti od opinioni […] purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti».
Diverso il discorso per i tanti Pio e Amedeo nel nostro Paese. Premesso che se un comportamento non istiga alla discriminazione o alla violenza non viene sanzionato, mi chiedo: vogliamo veramente degradare un tema di diritti civili e tutela delle persone ad una questione di battute e scherno? Il punto, qui, non è quello di fare un attentato ai comici o ai simpaticoni, ma quello di tutelare il diritto alla tranquillità e alla serenità di chi oggi viene discriminato perché “diverso”, perché donna, perché disabile. Se il black humour vi diverte così tanto, tranquilli: non sarà questa legge a dirvi di smettere. Però, fossi in voi, rispolvererei la parola “immedesimazione”: certe parole hanno una storia fatta di violenza, emarginazione, dolore e anche morte. Usarle meno, se non smettere del tutto, significa prepararci ad un salto culturale importante, grazie al quale (si spera) la diversità non sarà più un motivo di onta ma un valore aggiunto. La lingua evolve con la società e la società evolve con la lingua: evolviamoci.
Se, giuntə alla fine dell’articolo, hai ancora dubbi e perplessità, dai retta allo scrittore e giornalista Saverio Tommasi: “I diritti sono come i raggi del sole, se io mi abbronzo a te non rubo niente”.
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