Agostino di Moravia, un romanzo sull’identità
Come e quando lo hai saputo sono le domande più frequenti che si ricevono nel momento in cui si rivela la propria devianza dall’eterosessualità a qualcun altro. Domande che si fanno ad un malato.
L’interlocutore – può anche essere individualmente la persona con meno pregiudizi riguardo la sessualità sul Pianeta – ci proietta subito in quel cronicario che è la comunità dei diversi. Il linguaggio tradisce «l’inconscio politico», direbbe Fredric Jameson1, critico letterario e teorico politico americano, inconscio che non si è affatto liberato dalla gravità deformante delle strutture eteronormative. Come nel video della canzone di Lady Gaga Born this way, siamo tutti partoriti senza peccato, luci bianche che includono lo spettro dei colori: «A race within the race of humanity, a race which bears no prejudice, no judgement but boundless freedom». Ma dai prismi della percezione degli altri, ammaccati dai martelli dei padri-fabbri-padroni del patriarcato, non esce alcun arcobaleno. «I contain moltitudes» canta Bob Dylan, moltitudini di possibilità che si scontrano con una realtà labirintica ma nella quale il percorso accettabile è uno solo, ed è deciso da uomini eterosessuali.
Dove sta la possibilità di redenzione, e quindi di orgoglio, nel panorama desolante finora delineato?
La chiave è nel pre-giudizio, ovvero l’aggiunta di valutazioni affettive negative ad uno stereotipo (approfittiamo dell’occasione per definire questa parola: con “stereotipo” si intende una più o meno rigida generalizzazione riguardante un gruppo sociale, che permette alle persone di categorizzare e ordinare gli individui secondo alcune caratteristiche. Ciò limita la quantità di informazioni con cui una persona deve confrontarsi – riduce l’effort cognitivo – e semplifica la complessità del mondo. È difficile modificare gli stereotipi, poiché essi si basano su meccanismi mentali consolidati e rigide dinamiche di comunicazione sociale. E, in ogni caso, come abbiamo visto, essi hanno una funzione positiva – per dirla banalmente, saper riconoscere l’eroe e il cattivo in una storia, così come nella vita, si basa sugli stereotipi; rinunciare a questa possibilità di poter formulare giudizi veloci sarebbe controproducente e paralizzante. La nostra azione dovrebbe orientarsi piuttosto nello sconfiggere i pregiudizi, eliminando l’aura negativa che aleggia attorno ad alcuni stereotipi. Il problema non è nelle generalizzazioni “casalinga”, “studente di lettere”, “omosessuale”, “nero” eccetera, ma nell’aura affettiva negativa e nei giudizi dai contenuti illogici riguardo questi stereotipi, per esemplificare rispettivamente “mantenuta”, “nullafacente”, “deviato”, “invasore”. È questa latenza culturale negativa che va combattuta).
L’origine della dolorosa consapevolezza della diversità sta nel confronto con i pregiudizi. Noi membri della comunità LGBTQ+ siamo diversi perché in prima istanza abbiamo dato credito a quel giudizio sprezzante non sempre espresso dagli altri, ma certamente lasciato trasparire. Dal disprezzo comincia il dubbio e dal dubbio le domande: «Question what the TV tells you, question what a pop star sells you, question mom and question dad, question good and question bad» canta MARINA in Sex Yeah. E ci siamo risposti che né l’educazione ricevuta dai nostri genitori e insegnanti, né lo scimmiottamento dei modi dei nostri gruppi di amici, e nemmeno l’emulazione dei modelli dei media bastano ad incanalare ed esaurire la nostra identità. Noi non siamo diversi perché gli altri ci giudicano diversi, né siamo diversi perché gli altri ci percepiscono diversi. Noi siamo diversi perché abbiamo iniziato a percepirci diversi a causa dei pregiudizi degli altri. Alla base della nostra ricerca d’identità c’è il giudizio negativo e il rifiuto.
Agostino, scritto da Alberto Moravia, uno dei maggiori autori del Novecento italiano, nel 1942, ma ripubblicato nel 1945, dopo aver subito la censura fascista, è incentrato su queste domande: come e quando si scopre di essere diversi? Qual è l’origine di questa consapevolezza? Cosa porta alla percezione di essere diversi? Si soffre? Certamente. Ma come si soffre? E quanto si soffre?
Questa analisi è condotta acutamente, perché gli accenni a questo destino di diversità sono difficilmente decifrabili per chiunque non si sia dimostrato insofferente alla società dell’ordine e, più nello specifico, eteronormativa. Perciò, questo romanzo è un nostro romanzo, di tutti i deviati che popolano il mondo e che sono il germe della non conformità che si scontra con l’aridità della terra uniforme e compatta.
L’autore indaga la nascita del desiderio sessuale in un adolescente pubere. Più in generale, ci svela le dinamiche del desiderio, quella cosiddetta “triangolazione del desiderio” – che è il motore del cambiamento umano e che è stata definita da Girard, antropologo e critico letterario francese, in Menzogna romantica e verità romanzesca2 – secondo cui alla base di ogni pulsione c’è la competizione con qualcun altro, il mediatore. Ecco, quindi, che il giovane ragazzo di cui si innamora la madre vedova si insinua come mediatore, alterando il rapporto madre-figlio. Agostino scopre che anche sua madre è un essere sessuato e che, in quanto tale, può essere oggetto del suo desiderio. A dirla tutta – e in questo l’oscurità di Moravia si rivela geniale – il rapporto verrà presto ribaltato: sarà la madre a diventare la mediatrice e il giovane “adusto” di cui ella è invaghita l’oggetto del desiderio di Agostino. Di qui, l’inizio del malessere del ragazzino, un malessere dell’impossibilità a conformarsi profondo e generalizzato, che non viene compreso, ma presagito. Un destino diverso lo attende, le sue viscere si smuovono e si alterano, ma Agostino è inerme e deve subire l’aruspicina a cui Moravia lo sottopone. È un periodo seminale della vita dell’adolescente e il sentimento che lo domina è il languore, che, come in ogni buon romanzo, contamina l’ambiente circostante facendovi cadere un velo di mollezza disperata.
Le due parti del seme di un’identità, quella di figlio e di uomo capace di desiderio sessuale, vengono presto sospinte dal maestrale verso un altro terreno di incontro-scontro: un Lucignolo lentigginoso incontrato per caso conduce Agostino al paese dei balordi, dove incontra un gruppo di ragazzini più miseri e più violenti di lui. Una spiaggia che si trova dove gli stabilimenti balneari, dopo essersi via via diradati e fatti più poveri, vengono sostituiti da una baracca, e che rappresenta la società in un luogo in cui non è più un gioco di censo ma di forza. Un “Karabas Barabas3” che governa questi burattini adolescenti, che getta su di loro un’ombra inquietante e che proverà ad adattare la “sua chiave” nella serratura di Agostino. E poi, una serie di disavventure e successive rivelazioni che lo porteranno a scoprire che l’età delle disillusioni è terribile, e a presagire che ancora molto dolore lo attende, prima di scoprire che la risposta alle domande come e quando sarò chi sarò sta in una tensione ad un equilibrio dinamico chiamata identità.
Bibliografia
- L’inconscio politico, Fredric Jameson, trad. L. Sosio, edito Garzanti, 1990
- Menzogna romantica e verità romanzesca, René Girard, 1961, attualmente edito presso Bompiani
- È l’antagonista de “Il compagno Pinocchio (o Buratino e la chiavetta magica)”, Aleksej Nikolaevič Tolstoj, 1936. Uso qui questo nome tratto da una fiaba piegata all’ideologia comunista per sottolineare, ironicamente, l’operazione fortemente politica e di critica alla cultura del tempo di Moravia, che piazza un omosessuale adulto a custodia di un gruppo di ragazzini.
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