I nostri film preferiti del 2023
Chi ci segue da un po’ lo sa bene: la redazione de L’Eclisse è innegabilmente cinefila.
Solo nell’anno passato abbiamo pubblicato un articolo per fare il punto sugli Oscar 2023 — cui è seguita una live su Twitch con la direttrice dei VFX Gaia Bussolati —, una riflessione su cosa non funziona nei cinefumetti italiani, cinque consigli di film d’animazione, un pezzo per il centesimo anniversario della fondazione della Disney, tre abbinamenti tra film e album musicali, un excursus dei temi principali e del successo della saga Hunger Games, in occasione dell’uscita del prequel cinematografico, un’analisi di Il funerale delle rose e dei suoi legami con Arancia meccanica, un viaggio filosofico in compagnia di Harold Fry, un articolo sul corpo in Thérèse et Isabelle e non una, ma ben due riflessioni su uno dei casi cinematografici dell’anno, Barbie. Tutto ciò senza neanche contare gli articoli a tema cinema contenuti nei nostri editoriali!
Per cui, abbiamo deciso di inscenare una piccola votazione interna per offrire allǝ nostrǝ lettorǝ una classifica dei film, usciti al cinema in Italia nel 2023, che i membri della nostra redazione hanno più apprezzato.
24. Suzume (すずめの戸締まり), di Shinkai Makoto (Giappone)
L’ultimo lungometraggio di Makoto Shinkai, meglio noto per Your Name. (君の名は。, 2016), ha sbancato il botteghino in Estremo Oriente, specialmente in Cina e Corea del Sud. In Italia, come è consueto ai film d’animazione non occidentali, il film ha avuto una release limitata – e, ahimè, solo in versione doppiata -, il che è un peccato, perché è un tripudio di colori, un viaggio attraverso i paesaggi e la storia recentissima del Giappone, ed è dotato di una qualità d’animazione superba, tipica dei film di Shinkai, purtroppo al servizio, questa volta, di una trama che si perde troppo nel melodramma, per i nostri gusti.
23. Il male non esiste (悪は存在しない), di Hamaguchi Ryūsuke (Giappone)
Presentato all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, il film di Hamaguchi (reduce dall’Oscar per Drive My Car, ドライブ・マイ・カー, 2021) scivola silenziosamente sulle foreste innevate della prefettura di Nagano, portando a galla con destrezza la tensione tra la vita rurale e i ritmi cannibalistici delle grandi città e del mercato tardo-capitalista.
22. Vampire Humaniste Cherche Suicidaire Consentant, di Ariane Louis-Seize (Canada)
Piccola chicca quebecchese dalle Giornate degli Autori a Venezia ‘23, distribuita in pochissimi cinema della nostra penisola. Una giovane vampira non riesce a spingersi a uccidere gli esseri viventi per nutrirsi: quando la sua famiglia le sottrae ogni accesso alle sue sacche di emoglobina, la vampira trova un coetaneo suicida disposto a offrirle la sua vita. Una favola cittadina dalle estetiche neon-grunge che riflette su temi caldi come veganesimo, fine vita, autismo e depressione giovanile.
21. The Whale, di Darren Aronofsky (USA)
Già in lizza agli scorsi Oscar, da noi è arrivato solo nei primi mesi del 2023. Tratto dall’opera teatrale omonima di Samuel D. Hunter, The Whale è il ritratto di un professore d’inglese del liceo, che ha abbandonato moglie e figlia per una relazione omosessuale conclusasi dolorosamente, e dei suoi tentativi di riallacciare i rapporti con la figlia, un’ottima Sadie Sink. Commovente l’interpretazione, giustamente premiatissima, del protagonista Brendan Fraser.
= 19. Manodopera (Interdit aux chiens et aux Italiens), di Alain Ughetto (Francia, Italia, Svizzera, Portogallo)
Il fascino delle piccole storie all’interno delle Storie più grandi, come quelle delle guerre, mi ha sempre colpito. Questa piccola perla, uscita completamente in sordina lo scorso agosto, è capace di narrare con innocenza, tenerezza e simpatia la storia di una famiglia, quella del regista Ughetto. Originaria del Piemonte, la famiglia Ughetto vive i duri anni delle due guerre spostandosi tra l’Italia, la Svizzera e la Francia. Spicca un racconto di un Italia minore, quasi dimenticata, finalmente rappresentata nel grande schermo.
La fusione insolita di stop-motion e riprese live-action riesce a donare un tono giocoso alla narrazione. La scoperta delle nostre radici non hai mai stata così favolistica come nel film di Ughetto.
Con Manodopera, l’animazione trionfa ancora nella nostra classifica. Nonostante l’anno difficile per il genere (nonostante gli exploit di Spider-Verse e Super Mario), l’arte dei “cartoni” mostra ancora le proprie potenzialità.
= 19. Marcel The Shell (Marcel The Shell with Shoes On), di Dean Fleischer Camp (USA)
Nell’anno della disfatta della Disney Animation, altre case di produzione hanno mantenuto l’arte dell’animazione in piedi. Tra queste case vi è l’ormai la consacrata A24 (Everything Everywhere all at once; The Witch) che porta in sala un’idea di Dean Fleischer Camp: perché non raccontare le peripezie di una piccola conchiglia con le scarpe alla ricerca della sua famiglia perduta? Idea stramba, esecuzione memorabile: Marcel The Shell è un tuffo nella nostra infanzia, quando la nostra casa si trasformava in un ’enorme campo da gioco. La piccola Marcel, tenace e curiosa, è come un piccolo bambino alla scoperta del mondo. Non aspettatevi però un film zuccherato, Marcel The Shell passa con acume invidiabile da una critica accesa alla società contemporanea all’analisi del lutto e della solitudine.
18. Mixed by Erry, di Sydney Sibilia (Italia)
Magari non conoscete il nome di Enrico Frattasio, ma forse a voi o ai vostri genitori è capitato di ascoltare una compilation su una musicassetta. Ecco, è proprio Enrico, o Erry in questo caso, che dovreste ringraziare: Mixed by Erry parla della storia vera dei fratelli Frattasio e di come Enrico ha portato il suo hobby di creare musicassette personalizzate, combinato col sogno di diventare DJ, alla fondazione della prima etichetta musicale in Italia per introiti (almeno finché i fratelli non sono stati beccati dalla Guardia di Finanza). Se siete interessati a una storia meno romanzata, c’è l’omonimo libro di Simona Frasca a mettere ordine.
17. Anche io (She Said), di Maria Schrader (USA)
Adattamento dell’omonimo libro delle giornaliste del New York Times Jodi Kantor e Megan Twohey, il titolo italiano fa riferimento al movimento #MeToo, nato proprio dall’articolo del 2017 che quest’ultime hanno steso per gettare luce su uno dei più grandi scandali sessuali di Hollywood. Da un film sul giornalismo ci si aspetterebbe un sentimentalismo più romanzato, ma ciò non succede: Anche io è perfettamente a fuoco, dritto al punto, non demonizza Weinstein, ma lo descrive esattamente per ciò che è stato, e non spettacolarizza gli abusi. Da non perdere.
16. Close, di Lukas Dhont (Belgio, Francia, Paesi Bassi)
Si discute in lungo e in largo, chi male e chi bene, delle tematiche LGBT nel cinema contemporaneo. Al giorno d’oggi tanti bistrattano immediatamente per repulsione le opere che ne parlano, altri le promuovono a prescindere nonostante l’infida qualità di certi film. Close di Lukas Dhont non è un film ascrivibile completamente alle tematiche LGBT, ma è un viaggio più profondo negli oscuri antri della natura umana. Un’amicizia solida tra due ragazzi viene incrinata quando i loro compagni di classe iniziano a credere che oltre all’amicizia ci sia anche un attrazione sessuale tra i due. L’allontanamento di uno dei due porterà l’altro a un isolamento fatale. La visione è stata personalmente la più difficile dell’anno a livello emotivo. Close meritava questa posizione e merita una visione, scevra dai discorsi qualunquisti e modaioli: l’arte è un’altra cosa.
15. La Chimera, di Alice Rohrwacher (Italia, Francia, Svizzera)
Protagonista di una campagna social che ha portato il film ad una migliore distribuzione, La Chimera è la prova inconfutabile del potenziale, spesso inascoltato, del cinema italiano. Negli ultimi anni, tanti registi giovani hanno riportato al centro della narrazione le piccole storie di paese, di periferia, di povertà, così fa anche la Rohrwacher che dona al pubblico un’opera potente, complessa e simbolica. La Chimera parla di un tombarolo britannico e dei suoi complici alle prese con vari colpi nei territori aspri della Tuscia laziale degli anni 80. Il protagonista Arthur (interpretato dall’inglese Josh O’Connor) è un mendicante moderno, un vagabondo alla ricerca di un amore perduto mentre la vita lo fa sbandare in quà e in là. Rohrwacher tesse le fila di un racconto folkloristico moderno, in equilibrio tra tradizione perenne e cambiamento continuo.
14. Bottoms, di Emma Seligman (USA)
Immaginate un fight club di ragazze lesbiche, ma nel contesto della classica commedia americana. Questi ingredienti, con l’aggiunta della coppia già di successo Seligman-Sennott, rendono Bottoms un nuovo classico demenziale, che ribalta i ruoli di genere: sono due ragazze a essere le sfigate che vogliono conquistare le belle della scuola. Riesce a onorare i grandi del passato (Mean Girls) e guardare al futuro sfruttando l’emergente star power e comicità di giovani e promettenti attrici come Rachel Sennott (Shiva Baby) e Ayo Edebiri (The Bear). Irriverente, impacciato, ironico (e già abbastanza iconico).
13. Pearl, di Ti West (USA)
Tecnicamente il prequel di X, sempre di Ti West, ma la storia è talmente efficace che regge perfettamente anche da sola: Pearl è un claustrofobico horror ambientato in una fattoria, talmente grottesco da risultare comico. L’omonima protagonista (una strepitosa Mia Goth) è una giovane contadina di umile famiglia, ma col grande sogno di diventare una star della nascente Hollywood. L’elemento disturbante prende piede quando diversi ostacoli si frappongono tra lei e la notorietà, e le sue ambizioni assumono sfumature sempre più violente. Ti West gioca con un immaginario che rimanda al Technicolor del passato, dando a Pearl un tocco di nostalgia vintage.
12. Anatomia di una caduta (Anatomie d’une chute), di Justine Triet (Francia)
Triet confeziona un legal thriller diviso tra una baita innevata e un’aula del tribunale di Grenoble. Una maratona di bravura performativa in cui ogni singolo attore, dalla protagonista Sandra Hüller al cane Messi, tenta di superarsi costantemente. Una regia ironica quanto basta, empatica quando serve, rivolge allo spettatore domande più che mai centrali sulla verità, il rapporto arte/artista, le maschere sociali.
11. Decision to Leave (헤어질 결심), di Park Chan-Wook (Corea del Sud)
Park Chan-Wook non ne sbaglia una e Decision to Leave non è da meno: questo neo-noir, a tratti romantico, ma sempre incentrato sulla ricerca del colpevole, vede protagonista il detective Hae-Joon. Pur di indagare a fondo su un caso di suicidio, che sembra sempre di più un omicidio, l’uomo indaga sulla moglie cinese della vittima, Seo-Rae. Il vero problema è che Hae-Joon si innamora istantaneamente (e inconsapevolmente) di lei e Seo-Rae inizia a sfruttare la situazione tirando i fili della sua rete… Impeccabile nella regia (come nella resa visiva dei dispositivi elettronici), ma mai freddo o cinico.
10. Io capitano, di Matteo Garrone (Italia, Belgio)
L’incredibile film di Garrone ha tanti meriti: un enorme sforzo produttivo (ricompensato da una candidatura Oscar come Miglior film straniero), un tema attualissimo e che necessita visibilità, persino la scelta da parte di un regista italiano di girare completamente in (diverse) lingue straniere, evitando totalmente l’italiano (a parte la battuta che dà il titolo al film). I due amici Seydou e Moussa lasciano Dakar e affrontano un vero e proprio “viaggio dell’eroe”, attraversando pericoli mortali (e, tristemente, reali) di ogni genere.
9. Monster (怪物), di Kore’eda Hirokazu (Giappone)
La struttura del nuovo film di Kore’eda, presentato a Cannes, ricorda un classico del cinema giapponese: Rashomon, di Akira Kurosawa. Una sola domanda – chi è il mostro? – per tre versioni della verità, nascosta nel rapporto tra due bambini delle elementari. Il film mette tanta carne al fuoco, troppa, forse, ma l’ultimo atto tratta i suoi temi con una delicatezza e una comprensione da stringere il cuore. Una regia sapientissima che procede per indizi taciuti, nascosti nelle immagini. Un film da vedere con attenzione, e poi rivedere, e poi rivedere, per rispondere a quella domanda che non potrà far altro che perseguitare lo spettatore: chi è il mostro?
= 7. Aftersun, di Charlotte Wells (UK, USA)
Daddy dearest: quella parte del Twitter cinefilo discepola di MUBI ha subito “adottato” il lungometraggio d’esordio della regista scozzese Charlotte Wells, in cui Frankie Corio e Paul Mescal interpretano una bambina e suo padre in vacanza in Turchia. Il film gioca col dolceamaro dei ricordi, la tenerezza dei sentimenti infantili, il non-detto dei rapporti genitori-figli. Si dice spesso che siamo destinati a diventare i nostri genitori. Forse non è vero, ma sicuramente siamo destinati a comprenderli, una volta adulti: Aftersun riconosce quanto questo possa essere liberatorio e doloroso.
= 7. Gli spiriti dell’isola (The Banshees of Inisherin), di Martin McDonagh (USA, UK, Irlanda)
In un’atmosfera quasi purgatoriale, mentre la guerra civile tempesta l’Irlanda, nell’isola di Inisherin il tempo passa lentissimo. Sempre le stesse facce girano per strada ed entrano nelle locande. Quando Colm (Brendan Gleeson) decide di non voler più incontrare l’amico Padraic (Colin Farrell), quest’ultimo non ne capisce il motivo e inizia a cercare un modo per scoprirlo. Queste premesse portano McDonagh a girare un film folle e grottesco, malato come i suoi personaggi. Dimenticato nelle serate dei premi, Gli spiriti dell’isola è uno dei migliori film dell’anno senza ombra di dubbio.
6. Inu-Oh (犬王), di Yuasa Masaaki (Giappone, Cina).
Tecnicamente presentato nel 2021 nella sezione Orizzonti alla Mostra del Cinema di Venezia, questo incredibile musical rock animato è stato distribuito in alcune (e decisamente troppo poche) sale italiane quest’anno. Il racconto dell’epica amicizia tra Inu-Oh (“re dei cani”), nato deforme per colpa di una maledizione, e Tomona, un suonatore di biwa cieco, è tratto dal libro di Hideo Furukawa: un attore di nome Inu-Oh è realmente esistito seicento anni fa, ma perché di lui quasi non ne è rimasta traccia?
Ci sarebbe molto altro da lodare, ma lascio che sia Inu-Oh a parlare. Vi assicuro che non avete mai visto un film così.
5. C’è ancora domani, di Paola Cortellesi (Italia)
Il debutto alla regia dell’immensa Paola Cortellesi è innegabilmente un enorme successo, come ha dimostrato il botteghino, ma anche il pubblico e la critica. Il film, ambientato nel Secondo dopoguerra (in un anno fondamentale per la storia d’Italia) ha messo al centro del dibattito italiano temi quali la violenza di genere e il patriarcato, facendo sorridere e lasciando amareggiatə e spiazzatə allo stesso tempo spettatrici e spettatori. C’è ancora domani è stato ancora più significativo per le conversazioni che ha fatto iniziare in diverse fasce demografiche e nel mainstream. Il nostro augurio è che sia il primo film di tanti che darà alle donne la possibilità di parlare di emancipazione e violenza di genere a un pubblico sempre più ampio.
= 3. Barbie, di Greta Gerwig (USA, UK)
Praticamente non ha bisogno di presentazioni: la bambola più famosa del mondo e il film che ha battuto tutti i record al botteghino, oltre che ad avere una campagna promozionale memorabile. Anche noi in redazione ne abbiamo parlato qui e qui, perciò di spunti di riflessione ce ne sono e pure tanti. Più che un film, per noi è stato un’esperienza irripetibile: la sala era piena di donne, bambine, nonne, uomini, figlie e figli, madri, padri, ragazze, tuttǝ vestiti di rosa. E quando nella colonna sonora è partita “What Was I Made For?” di Billie Eilish, abbiamo tuttǝ pianto in silenzio. Potrà non piacere, ma Barbie ha segnato il 2023.
= 3. Oppenheimer, di Christopher Nolan (USA, UK)
Si è detto tanto di Oppenheimer di Christopher Nolan, poco posso aggiungere in queste righe. Ciò che mi permetto di condividere è l’esperienza: rare volte nella mia vita ho assistito ad un’esperienza cinematografica così immersiva. Nolan regala a mio avviso la sua opera migliore, che il tempo giudicherà. Noi contemporanei possiamo solo ringraziarlo, ancor di più per il periodo che stiamo vivendo. Con venti di guerra che spirano in tutto il mondo, Oppenheimer mette in luce le nostre debolezze e le nostre forze. J. Robert Oppenheimer è un genio, un grande scienziato, ma anche un piccolo uomo. Insieme a lui condividiamo il retaggio della nostra specie. Parola ai posteri.
= 1. Killers of the Flower Moon, di Martin Scorsese (USA)
Forse saremo poco ortodossi, ma sicuramente siamo democratici: la vetta della nostra classifica è condivisa da due film tra cui proprio non siamo riusciti a scegliere. Il primo è l’ultima fatica di Martin Scorsese, forse l’ultimo dei grandi registi cinefili degli anni Settanta (a parte, forse, Coppola, penalizzato dall’ostracismo dell’industria hollywoodiana). Killers of the Flower Moon è un film originalissimo e totalmente scorsesiano che, allo stesso tempo, ricorda i grandi blockbuster degli anni Cinquanta, per la sua ambizione e per il portamento dei suoi attori – tra tutti spicca Lily Gladstone, per la dignità con cui interpreta la nativa americana Mollie (di lei avremmo voluto vedere ancora di più, magari sacrificando un paio di scene di Leonardo DiCaprio, un po’ troppo concentrato sul secondo Oscar). Com’è ovvio che sia per un regista di una certa età, Killers porta tutta la gravitas di un film in chiusura di carriera, ma, a differenza del precedente The Irishman, Scorsese approfondisce la sua riflessione sulla sanguinaria storia americana anche in senso introspettivo, evitando un troppo facile j’accuse verso sporchi mondi, giovani non più come una volta e governi ladri. Insomma, se questo fosse l’ultimo film di Martin Scorsese, sarebbe una firma spettacolare (in tutti i sensi) su una carriera che a posteriori, ne siamo sicuri, sarà rivalutata come molto più politica e progressista di quanto sia stata considerata fino ad oggi.
= 1. Spider-Man: Across the Spider-Verse, di Joaquim Dos Santos, Kemp Powers e Justin K. Thompson (USA)
Il testa a testa non poteva che essere con un film di animazione (e che film!), perché qui all’Eclisse ne andiamo matti. Across the Spider-Verse è il secondo capitolo della trilogia in cui è Miles Morales ad assumere il ruolo di Spider-Man; e non pensate che, solo perché è un film animato, allora manchino momenti di tensione o più dark. Miles e Gwen devono affrontare la minaccia del multiverso che, oltre a offrire diversi momenti comici (avete presente il meme dei tre Spider-Man che si indicano? Una cosa del genere), pone i protagonisti davanti a scelte complesse e talvolta sofferte.
di Marcello Monti, Valentina Oger, Gioele Sotgiu e Vittoria Tosatto
[…] film. Indubbiamente sin dalla sua uscita lo scorso luglio, il film sul creatore della bomba atomica era visto come uno dei grandi favoriti alla corsa per le statuette e il vantaggio si è consolidato con il passare del tempo. Nonostante […]